Il Triangolo delle Bermude è una zona dell'Oceano Pacifico nella quale si sono riscontrate numerose e misteriose sparizioni di navi e aerei fra gli anni '40 dell'800 e del '900.
La zona ha grossomodo come vertice nord l'arcipelago delle Bermuda, come estremo sud la zona occidentale dell'isola di Porto Rico e il punto più a sud della Florida come vertice ovest.
Si racconta di navi di diversa grandezza affondate o comunque disperse già a partire dal 1843. L'episodio che però fece più scalpore fu la sparizione di una squadriglia di cinque bombardieri TBF Avenger partita il 5 dicembre del 1945 dal sud della Florida per un volo di addestramento. Dopo due ore di volo ne furono perse le trecce a circa 360 km a nord est della base di partenza, in direzione dunque delle Isole Bermuda.
Va notato, che, come si evince da quanto scritto, l'operazione fosse un volo di prova fatto quindi da piloti ancora inesperti. Ciò potrebbe spiegare la strana scomparsa di questi aerei.
Su questo episodio, negli anni seguenti, sono stati fatti diversi studi. Si sono avvalorate alcune ipotesi basate sugli ultimi segnali e conversazioni fra la torre di controllo della base e gli aviatori, nelle quali, questi, evidenziarono un'anomala e totale disfunzione delle bussole e degli strumenti di bordo.
Seguirono la scomparsa di due piccoli aerei di linea, uno a circa 600 km a nord est di Bermuda, l'altro, al largo delle coste della Florida. Il primo svanì nel gennaio del '48, il secondo invece a dicembre. Un mese più tardi, dunque nel gennaio del 1949, si persero le traccie di un altro aliante, partito dal Londra e diretto in Cile, a 600 km a sud est di Bermuda.
Le ipotesi vanno dalla possibilità di forze magnetiche sprigionate direttamente dal fondale che metterebbero in disuso tutti gli strumenti elettrici e magnetici causando la perdita di orientamento dei velivoli, e quindi, l'affondamento in mare di questi per fine del carburante. Fino a nubi ionizzate che permetterebbero distorsioni spazio-temporali. A tale proposito c'è la testimonianza di un pilota statunitense; Bruce Gernon, che nel 1970 si trovava a volare dalle Bahamas verso la Florida assieme a due altri passeggeri. A un certo punto, secondo quanto ammesso, davanti a loro si materializzò una grossa nude che man mano che l'aereo si avvicinava prendeva una forma di linee a spirale. Il velivolo entrò nella nube e i tre furono abbagliati da una serie di lampi perdendo il controllo dell'aereo.
Il fenomeno durò pochi minuti; quindi Gernon riprese il controllo del mezzo. Appena fatto, osservò il radar e vide che si trovavano sopra Miami sebbene fossero in viaggio da appena mezz'ora e con il tipo di aereo pilotato (capace di raggiungere i massimi 300 km/h), il viaggio sarebbe dovuto durare almeno un'ora per percorrere una distanza di circa 300 km.
Tornando alla tesi sulla fine del carburante, alcuni hanno ipotizzato che i cinque bombardieri abbiamo perso l'orientamento, finendo probabilmente per schiantarsi nelle paludi delle zone interne dell'est degli Stati Uniti.
Ancora un'altra nonché ultima teoria avvallata è quella secondo la quale alla base delle sparizioni ci sarebbero gli UFO e gli USO (gli oggetti marini non identificati). Ad avvalorare questa supposizione ci sono alcune testimonianze dei piloti e i diari bordo della prima traversata oceanica di Cristoforo Colombo, nei quali il navigatore genovese racconta di "strani eventi atmosferici" e "sfere di fuoco sprofondare nell'oceano" proprio nella zona del Triangolo. Fenomeni che tuttavia potrebbero essere ricondotti a rari eventi atmosferici come possono essere ad esempio i fulmini globulari.
Il succo di tutto è che non si sa veramente cosa sia accaduto nel Triangolo delle Bermude. Ciò che è certo è che ormai da molti anni non si verificano più fenomeni di sparizioni, per cui, per il momento, il Triangolo si accinge a diventare un mito. Ma come si sa, tutti i miti hanno un mero fondo di verità...
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venerdì 27 febbraio 2015
giovedì 26 febbraio 2015
Storia dei popoli: i Baruya
I Baruya sono un'isolata e primitiva tribù di 2500 individui vivente nella parte orientale della Guinea, dunque nei confini della Papua e Nuova Guinea.
I primi contatti fra questa tribù e gli europei risalgono al 1951. Negli anni successivi iniziarono a giungere, dall'occidente, svariati studiosi attratti dai comportamenti bizzarri e singolari di questa grande famiglia che ora vi spiegherò.
Il primo ad analizzarli fu l'antropologo francese Maurice Godelier (1934) che giunse sull'isola nel 1967 portando avanti le ricerche fino alla prima parte degli anni '80.
Quella dei Baruya è una società fortemente maschilista. Il principio di tale struttura risale alle origini di questa comunità; infatti nei loro miti si narra di come la donna sia nata dall'uomo al fine unico di servirlo. Quindi, specialmente durante la gestazione e l'allettamento, ma anche nella quotidianità, le donne devono rendere omaggio agli uomini praticando il fellatio con ingoio in speciali orgie rituali.
Il rapporto sessuale, invece, è esclusivamente riservato ai coniugi. In caso contrario, ciò, è considerato impuro.
Vi è quindi una simbolica rappresentazione dello sperma come risarcimento che l'uomo fa alla donna per la sua fedele sottomissione.
Anche nel caso dei giovani adolescenti che devono diventare ufficialmente uomini e donne si consuma il medesimo rito iniziatico. Per divenire uomini e donne, deve esserci intransigentemente il fellatio con ingoio.
I primi contatti fra questa tribù e gli europei risalgono al 1951. Negli anni successivi iniziarono a giungere, dall'occidente, svariati studiosi attratti dai comportamenti bizzarri e singolari di questa grande famiglia che ora vi spiegherò.
Il primo ad analizzarli fu l'antropologo francese Maurice Godelier (1934) che giunse sull'isola nel 1967 portando avanti le ricerche fino alla prima parte degli anni '80.
Quella dei Baruya è una società fortemente maschilista. Il principio di tale struttura risale alle origini di questa comunità; infatti nei loro miti si narra di come la donna sia nata dall'uomo al fine unico di servirlo. Quindi, specialmente durante la gestazione e l'allettamento, ma anche nella quotidianità, le donne devono rendere omaggio agli uomini praticando il fellatio con ingoio in speciali orgie rituali.
Il rapporto sessuale, invece, è esclusivamente riservato ai coniugi. In caso contrario, ciò, è considerato impuro.
Vi è quindi una simbolica rappresentazione dello sperma come risarcimento che l'uomo fa alla donna per la sua fedele sottomissione.
Anche nel caso dei giovani adolescenti che devono diventare ufficialmente uomini e donne si consuma il medesimo rito iniziatico. Per divenire uomini e donne, deve esserci intransigentemente il fellatio con ingoio.
26 febbraio, nasce Victor Hugo
Victor Hugo nacque a Besançon, città di media grandezza della Franca Contea, regione dell'est della Francia, il 26 febbraio 1802. Fu uno scrittore, poeta, drammaturgo, saggista e attivista, nonché padre letterario del Romanticismo; stile pluri artistico che si sviluppò in Germania durante il suo suo periodo, quindi, a cavallo fra il '700 e l''800.
Di famiglia nobiliare con il padre, Léopold (1773-1828) militare dell'esercito di Giuseppe Bonaparte di professione, scrittore e saggista nel tempo libero. Fin d'adolescente, Victor Hugo, scopre il piacere e le passione per la poesia e la scrittura, ispirato in particolar modo dagli autori François-René de Chateaubriand (1768-1848) e Alphonse de Lamartine (1790-1869).
La prima affermazione pubblica di Hugo avviene nel 1819, quando diciassettenne dirige assieme al fratello maggiore Abel (1798-1855) "Le conservateur littéraire", una rivista settimanale che tratta gli scrittori romantici del periodo, in particolare, i due citati sopra. Vi rimarrà per tre anni, fino al 1821, anno dal quale intraprende la carriera da poeta.
Negli anni '20 pubblica così diverse raccolte: il primo successo è "Odes et poésies diverses" del 1822. Seguono, a due anni di distanza "Nouvelles odes" (1824), quindi "Odes et ballades" (1826).
Una volta elaborata la poesia come lavoro propedeutico, nel 1827 esordisce come drammaturgo, sebbene l'opera non verrà mai svolta in teatro, con "Cromwell"; un dramma romantico davvero fuori dai canoni dell'epoca, rivoluzionario per la sua poetica; soprattutto espressa nel prologo dell'atto.
I suoi lavori teatrali successivi sono nel (1929) "Marion Delorme", dapprima censurato e poi consentito due anni dopo, nel 1831. In contemporanea elabora una nuova collana poetica: "L'orientales", incentrata quasi tutta sulla figura di Napoleone Bonaparte.
Nel 1830 raggiunge il vero primo successo teatrale con "Hernani"; una storia incardinata sull'amore vero e genuino fra un bandito di nome Hernani, appunto, e una donna chiamata Donna Sol, promessa sposa al potente re Carlo V. E' probabilmente questo il lavoro che fa sbocciare il Romanticismo in Francia.
Sempre censurato eppoi ammesso è "Le Roi s'amuse" del 1832, che già dal titolo fa capire la critica che il letterato smuove contro la monarchia e la nobiltà in generale, sempre più marcata.
Seguono il celebre dramma sulla vita di Lucrezia Borgia (1480-1519), diviso in tre atti. Quindi su quella di Maria I d'Inghilterra (1516-1558), chiamato appunto "Marie Tudor". Entrambi del 1833.
Nel 1835 esce "Angelo, tyran de Padoue", accentrato sulla figura fittizia di Angelo Maliperi, tiranno di Padova. Nel (1838) la pregevole "Ruy Blas" e, qualche anno dopo, nel (1843) "Les Burgraves"; totale insuccesso che segnerà il declino di Hugo nella drammaturgia.
Ma la carriera prosegue, poiché a partire dall'inizio degli anni '30, precisamente nel 1831, si afferma anche come romanziere grazie alla famosissima "Notre-Dame de Paris" che vede la paradossale, tragica e intricata vicenda fra Esmeralda, il gobbo Quasimodo e le istituzioni di potere. Sono quindi gli anni '30 quelli di maggiore espressione poetica, descrittiva, letterale e ideale. Incentrati tutti s'una velata spiritualità che rende l'amore un qualcosa che va altre il potere, oltre le caste, oltre al denaro e ai pregiudizi sociali. Un'amalgama liberale che molto spesso sfocia nella tragicità e quasi sempre nella sofferenza intesa come passione.
I moti francesi del 1848 lo portano ancora di più a schierarsi dalla parte della democrazia; cosicché, diventa deputato dell'Assemblea legislativa fino al colpo di stato di Napoleone III (1851) che lo rende esule viaggiatore; dapprima in Belgio, quindi nelle Isole del Canale della Manica, ivi s'insedia per qualche anno e rincomincia l'attività letteraria.
Le opere che seguono sono logicamente contro la figura di Napoleone III e il suo Secondo Impero. Le migliori, a mio parere sono: Les châtiments (1853), Les contemplations (1856) e La légende des siècles (1859) una serie di poemi che personalmente ritengo la sua migliore opera in assoluto.
Nel 1870 cade l'Impero e così può tornare in patria; sessantottenne, rinnovato da nuove ispirazioni. Questo periodo, che è l'ultimo prima della morte, è infatti molto produttivo.
Nel 1873 pubblica il romanzo "Quatre-vingt-treize", quindi prima la seconda (1877) e poi la terza parte (1883) che completano "La légende des siècles".
L'anno prima, 1882, è la volta dell'ultimo romanzo: "Torquemada", narrante l'ambigua personalità dell'inquisitore spagnolo vissuto nel XV secolo.
La carriera e la vita di Hugo terminano come erano iniziate, ovvero, con la poesia.
Sono infatti le raccolte "L'année terrible" del 1872, "Le Pape" del (1878), "Religions et religion" del 1880 e "Les quatre vents de l'esprit" (1881).
L'ultimo lavoro in vita sono gli "Actes et paroles": quattro volumi iniziati nel 1875 e terminati nel 1885 che riassumono in sostanza tutta la sua vita e la sua ideologia politica e sociale,
Victor Hugo muore il 22 maggio del 1885 a Parigi all'età di 83 anni. Il suo funerale fu pubblico e vi parteciparono circa 3 milioni di persone; poeti, intellettuali, nobili, borghesi, operai e contadini. Tutti per rendere omaggio al grande letterato romantico, genio controcorrente e sognatore del libero amore.
Di famiglia nobiliare con il padre, Léopold (1773-1828) militare dell'esercito di Giuseppe Bonaparte di professione, scrittore e saggista nel tempo libero. Fin d'adolescente, Victor Hugo, scopre il piacere e le passione per la poesia e la scrittura, ispirato in particolar modo dagli autori François-René de Chateaubriand (1768-1848) e Alphonse de Lamartine (1790-1869).
La prima affermazione pubblica di Hugo avviene nel 1819, quando diciassettenne dirige assieme al fratello maggiore Abel (1798-1855) "Le conservateur littéraire", una rivista settimanale che tratta gli scrittori romantici del periodo, in particolare, i due citati sopra. Vi rimarrà per tre anni, fino al 1821, anno dal quale intraprende la carriera da poeta.
Negli anni '20 pubblica così diverse raccolte: il primo successo è "Odes et poésies diverses" del 1822. Seguono, a due anni di distanza "Nouvelles odes" (1824), quindi "Odes et ballades" (1826).
Una volta elaborata la poesia come lavoro propedeutico, nel 1827 esordisce come drammaturgo, sebbene l'opera non verrà mai svolta in teatro, con "Cromwell"; un dramma romantico davvero fuori dai canoni dell'epoca, rivoluzionario per la sua poetica; soprattutto espressa nel prologo dell'atto.
I suoi lavori teatrali successivi sono nel (1929) "Marion Delorme", dapprima censurato e poi consentito due anni dopo, nel 1831. In contemporanea elabora una nuova collana poetica: "L'orientales", incentrata quasi tutta sulla figura di Napoleone Bonaparte.
Nel 1830 raggiunge il vero primo successo teatrale con "Hernani"; una storia incardinata sull'amore vero e genuino fra un bandito di nome Hernani, appunto, e una donna chiamata Donna Sol, promessa sposa al potente re Carlo V. E' probabilmente questo il lavoro che fa sbocciare il Romanticismo in Francia.
Sempre censurato eppoi ammesso è "Le Roi s'amuse" del 1832, che già dal titolo fa capire la critica che il letterato smuove contro la monarchia e la nobiltà in generale, sempre più marcata.
Seguono il celebre dramma sulla vita di Lucrezia Borgia (1480-1519), diviso in tre atti. Quindi su quella di Maria I d'Inghilterra (1516-1558), chiamato appunto "Marie Tudor". Entrambi del 1833.
Nel 1835 esce "Angelo, tyran de Padoue", accentrato sulla figura fittizia di Angelo Maliperi, tiranno di Padova. Nel (1838) la pregevole "Ruy Blas" e, qualche anno dopo, nel (1843) "Les Burgraves"; totale insuccesso che segnerà il declino di Hugo nella drammaturgia.
Ma la carriera prosegue, poiché a partire dall'inizio degli anni '30, precisamente nel 1831, si afferma anche come romanziere grazie alla famosissima "Notre-Dame de Paris" che vede la paradossale, tragica e intricata vicenda fra Esmeralda, il gobbo Quasimodo e le istituzioni di potere. Sono quindi gli anni '30 quelli di maggiore espressione poetica, descrittiva, letterale e ideale. Incentrati tutti s'una velata spiritualità che rende l'amore un qualcosa che va altre il potere, oltre le caste, oltre al denaro e ai pregiudizi sociali. Un'amalgama liberale che molto spesso sfocia nella tragicità e quasi sempre nella sofferenza intesa come passione.
I moti francesi del 1848 lo portano ancora di più a schierarsi dalla parte della democrazia; cosicché, diventa deputato dell'Assemblea legislativa fino al colpo di stato di Napoleone III (1851) che lo rende esule viaggiatore; dapprima in Belgio, quindi nelle Isole del Canale della Manica, ivi s'insedia per qualche anno e rincomincia l'attività letteraria.
Le opere che seguono sono logicamente contro la figura di Napoleone III e il suo Secondo Impero. Le migliori, a mio parere sono: Les châtiments (1853), Les contemplations (1856) e La légende des siècles (1859) una serie di poemi che personalmente ritengo la sua migliore opera in assoluto.
Nel 1870 cade l'Impero e così può tornare in patria; sessantottenne, rinnovato da nuove ispirazioni. Questo periodo, che è l'ultimo prima della morte, è infatti molto produttivo.
Nel 1873 pubblica il romanzo "Quatre-vingt-treize", quindi prima la seconda (1877) e poi la terza parte (1883) che completano "La légende des siècles".
L'anno prima, 1882, è la volta dell'ultimo romanzo: "Torquemada", narrante l'ambigua personalità dell'inquisitore spagnolo vissuto nel XV secolo.
La carriera e la vita di Hugo terminano come erano iniziate, ovvero, con la poesia.
Sono infatti le raccolte "L'année terrible" del 1872, "Le Pape" del (1878), "Religions et religion" del 1880 e "Les quatre vents de l'esprit" (1881).
L'ultimo lavoro in vita sono gli "Actes et paroles": quattro volumi iniziati nel 1875 e terminati nel 1885 che riassumono in sostanza tutta la sua vita e la sua ideologia politica e sociale,
Victor Hugo muore il 22 maggio del 1885 a Parigi all'età di 83 anni. Il suo funerale fu pubblico e vi parteciparono circa 3 milioni di persone; poeti, intellettuali, nobili, borghesi, operai e contadini. Tutti per rendere omaggio al grande letterato romantico, genio controcorrente e sognatore del libero amore.
mercoledì 25 febbraio 2015
Biologia, Ep.2 - Il pesce siluro
Il siluro è un pesce d'acqua dolce originario dei bacini orientali del Danubio. Col tempo, l'uomo ha introdotto questa specie un po' in tutti i fiumi d'Europa: originariamente nelle zone occidentali del Danubio, quindi in Austria e Germania, pertanto in quasi i territori dell'est Europa fino al primo Oriente, dunque oltre alla Turchia, all'Iran e alla Russia occidentale anche in Cina occidentale, Afghanistan, Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan, nell'ormai quasi ex Lago d'Aral. Nell'Europa occidentale, quindi anche in Italia, e in alcune parti di quella nordica come la Svezia e la Danimarca, venne diffuso solo a partire dagli anni '50 del secolo scorso.
Il pesce siluro è un predatore che vive in grandi fiumi e in zone palustri torbide e profonde. Nel periodo giovanile si nutre di invertebrati quali vermi e larve di ogni specie presenti sui fondali, una volta raggiunta la maturità adulta procaccia pesci di medie e piccole dimensioni come qualsiasi specie Ciprinidi e le anguille, verso le quali è maggiormente ghiotto. La sua caccia si svolge quasi sempre di notte poiché nel periodo diurno dorme.
Sebbene sia pressoché cieco, riesce a compensare in parte la deficienza con la velocità e l'agilità che lo contraddistinguono, nonostante si tratti di un pesce massiccio. Inoltre, sulla parte anteriore del cranio, in prossimità della bocca, possiede tra paia di lunghi organi tattili simili a baffi (sono i famosi baffi del pesce gatto) chiamati barbigli che gli consentono di individuare la preda anche nella più completa oscurità.
Come dunque scritto, ha fattezze molto simili a quelle del pesce gatto. Ciò che lo differenzia di primo impatto sono le dimensioni. Infatti il pesce siluro è generalmente lungo sul 1,5 m, sono rari quelli che arrivano ai 2 metri e ancora più raro, si direbbe unico, è stato lo straordinario esemplare catturato e dunque rilasciato quasi una settimana fa (giovedì 19 febbraio 2015) nelle acque del Po, lungo ben 2,67 m.
Possiede una corta pinna caudale (quella che serve al pesce per spostarsi) e invece una lunga pinna anale (che serve per mantenere l'equilibrio). Il corpo è viscido, mucoso e totalmente sprovvisto di squame. I colori della pelle sono in genere chiari sui fianchi e sul dorso e più scuri (giallognolo, arancione, marrone o grigio) nella parte superiore.
Sono tra i pesci d'acqua dolce più longevi, infatti, possono arrivare ai 60 anni. In conclusione va scritto come nella riproduzione la femmina chiaramente depone le uova ma è il maschio a custodirle e anche una volta schiuse a occuparsi dei piccoli avannotti, fintantoché questi non sono pronti per vivere da soli imparando a cacciare.
Storia della Filosofia occidentale, Ep.3 - Abramo: figlio della cabala, padre di molti
Secondo il mito, Abramo, in ebraico Avràm (אַבְרָהָם), era un Sumero che nacque appunto in Mesopotamia, presumibilmente a Ur attorno al 2000 a.C. Un giorno, una serie di individui di quantità indefinita che l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam identificano come un unico Dio, lo chiamarono spingendolo fuori dalla sua regione alla volta della terra di Canaan, territorio che al giorno d'oggi si può identificare nell'attuale Palestina. Da qui, secondo gli ebrei, Dio scelse quello che diverrà il suo futuro popolo. In quanto il nome di Abramo, poi ribattezzato dal Signore stesso Abrahamo, che significa "padre di molti", ha nella radice la parola "Ivri" che significa "colui che proviene da oltre il fiume", con chiaro riferimento all'Eufrate. "Ivri" a sua volta è una sorta di complemento oggetto coniato da Abramo per indicare che egli proveniva dalla terra dove visse Eber, personaggio antidiluviano, figlio di Sela che sua volta fu figlio di Arfacsàd, che a sua volta fu figlio di Sem, primogenito di Noè. Da Eber deriva il termine ebreo, il quale si rifà alla parola semitica "Evèr" che significa "colui che attraversa"; riferente al fatto che quello ebraico fosse un popolo nomade.
Vi sono diversi rabbini, quindi maestri dell'ebraismo, che mettono in dubbio l'esistenza storica di Abramo, ma questo a noi non importa. Perché quanto lasciato da questo personaggio, per quel che ci riguarda, è indifferente che sia stato scritto da Abramo, piuttosto che da Giuseppino.
Oltre che sotto l'aspetto puramente patriottico attraverso l'acquisizione del titolo di primo patriarca, Abramo, è ritenuto dal cabalisti colui che raggiunse il massimo e più puro livello di conoscenze sulla cabala (vedremo in futuro in modo dettagliato cosa sia la cabala o kabbalah). Quindi sulla vita e il suo senso.
Il libro cabalistico più celebre e importante attribuito ad Abramo e lo "Sefèr yè'zirà"; trattato ricco di disegni diviso in vari capitoli chiamati "mishnàim", che scrive di come l'uomo si realizzi aldilà del tempo e dello spazio attraverso quella che è la figura divina, ovvero l'anima, che si incarna al fine di comprendere il significato completo dell'esistenza nascendo e quindi morendo. Perché completo? perché l'anima non avendo tempo e spazio, ed essendo così immortale, non è in grado di comprendere l'effimero. Sceglie così di incarnarsi nel corpo, ma facendolo, dimentica la sua vera natura. La cabala, attraverso il suo studio, permette di capire questa natura acquisendo così la Consapevolezza. In sostanza è né più né meno di quando affermava il Buddha Siddharta, con quello che egli chiamava "velo di Maya", che poi vedremo.
Molto di quanto scritto nello "Sefèr yè'zirà"è ispirato da un libro molto più vecchio rispetto al tempo di Abramo che i cabalisti attribuiscono al primo uomo nonché primo cabalista che per loro fu Adàm HaRishòn, ossia "il terrestre Rishòn", oppure semplicemente "Ish"; quindi Adamo. Questo libro è chiamato "Razièl malàch" ovvero "l'angelo Razièl" e spiega in sostanza le medesime cose.
"Raziel malach" ha dunque ispirato Abramo prima a comprendere poi a divulgare il suo studio nello "Sefèer yè'zirà", il quale libro è considerato la fonte della kabbalah moderna. Infatti il libro di Abrahamo ha ispirato a sua volta quello che è considerato il più importante testo della tradizione di questa dottrina esoterica; ovvero, il Libro dello Zohar (in ebraico "Sefèr HaZohar"), attribuibile all'inzio del XII secolo d.C., centro degli studi di Isaac Luria (1534-1572), conosciuto come "HaAri" o semplicemente "Ari" . Accreditato come il più grande cabalista dell'età moderna.
Vi sono diversi rabbini, quindi maestri dell'ebraismo, che mettono in dubbio l'esistenza storica di Abramo, ma questo a noi non importa. Perché quanto lasciato da questo personaggio, per quel che ci riguarda, è indifferente che sia stato scritto da Abramo, piuttosto che da Giuseppino.
Oltre che sotto l'aspetto puramente patriottico attraverso l'acquisizione del titolo di primo patriarca, Abramo, è ritenuto dal cabalisti colui che raggiunse il massimo e più puro livello di conoscenze sulla cabala (vedremo in futuro in modo dettagliato cosa sia la cabala o kabbalah). Quindi sulla vita e il suo senso.
Il libro cabalistico più celebre e importante attribuito ad Abramo e lo "Sefèr yè'zirà"; trattato ricco di disegni diviso in vari capitoli chiamati "mishnàim", che scrive di come l'uomo si realizzi aldilà del tempo e dello spazio attraverso quella che è la figura divina, ovvero l'anima, che si incarna al fine di comprendere il significato completo dell'esistenza nascendo e quindi morendo. Perché completo? perché l'anima non avendo tempo e spazio, ed essendo così immortale, non è in grado di comprendere l'effimero. Sceglie così di incarnarsi nel corpo, ma facendolo, dimentica la sua vera natura. La cabala, attraverso il suo studio, permette di capire questa natura acquisendo così la Consapevolezza. In sostanza è né più né meno di quando affermava il Buddha Siddharta, con quello che egli chiamava "velo di Maya", che poi vedremo.
Molto di quanto scritto nello "Sefèr yè'zirà"è ispirato da un libro molto più vecchio rispetto al tempo di Abramo che i cabalisti attribuiscono al primo uomo nonché primo cabalista che per loro fu Adàm HaRishòn, ossia "il terrestre Rishòn", oppure semplicemente "Ish"; quindi Adamo. Questo libro è chiamato "Razièl malàch" ovvero "l'angelo Razièl" e spiega in sostanza le medesime cose.
"Raziel malach" ha dunque ispirato Abramo prima a comprendere poi a divulgare il suo studio nello "Sefèer yè'zirà", il quale libro è considerato la fonte della kabbalah moderna. Infatti il libro di Abrahamo ha ispirato a sua volta quello che è considerato il più importante testo della tradizione di questa dottrina esoterica; ovvero, il Libro dello Zohar (in ebraico "Sefèr HaZohar"), attribuibile all'inzio del XII secolo d.C., centro degli studi di Isaac Luria (1534-1572), conosciuto come "HaAri" o semplicemente "Ari" . Accreditato come il più grande cabalista dell'età moderna.
martedì 24 febbraio 2015
Astronomia, Ep.3 - Mercurio
Mercurio è il primo pianeta che troviamo per vicinanza al Sole, nonché il più piccolo del Sistema Solare. Per completare la sua orbita attorno alla stella impiega all'incirca 88 giorni.
Mercurio, come gran parte dei pianeti del Sistema Solare, prende il nome da una divinità Romana. In questo caso la divinità in questione è appunto Mercurio, dio della parola, della retorica e dell'eloquenza; chiamato anche Hermes dai Greci, Thot dagli Egizi ed EnKi dai Sumeri.
Il pianeta non ha atmosfera ma ha un accumulo di vari gas portati dal vento solare e catturati dal flebile campo magnetico. In prevalenza, troviamo potassio e sodio, ma anche altri gas come ossigeno sia "atomico" che "molecolare", argon, elio, anidride carbonica, azoto, acqua e idrogeno. Inoltre, possiede un nucleo davvero massiccio rispetto alle sue proporzioni, la quale parte interna è solida mentre quella più esterna è una miscela liquida in perenne raffreddamento, molto probabilmente caratterizzata da una presenza maggiore di nichel e ferro. Ciò è confermabile dal fatto che, Mercurio, nonostante si tratti di un pianeta di piccole dimensioni, possieda, come scritto, un seppur debole campo magnetico. Si può dunque dire che il nucleo costituisca più di 3/4 dell'intera struttura mercuriale, quindi circa l'82%.
La superficie è molto simile a quella della Luna, infatti, a causa dell'assenza di atmosfera, nulla ha potuto difendere il pianeta dagli impatti di corpi celesti medio-piccoli provenienti dallo spazio che nel corso di miliardi di anni hanno lasciato il segno formando numerosi crateri. I più interessanti sono il grande Bacino Caloris (profondo 9 km e dal diametro di circa 1500 km; risalente a circa 3,5 miliardi di anni) e il molto più piccolo Cratere Zola (dal diametro di circa 70 km). Questa deficienza comporta anche un notevole sbalzo termico fra la parte illuminata dal Sole (con temperature che superano i 350 °C) e quella che rimane in ombra (dove si arriva anche a toccare i -180 °C)
Essendo il pianeta più vicino al Sole, la sua osservazione dettagliata è abbastanza complicata.
Nei cieli della Terra è impossibile vederlo nelle ore notturne a occhio nudo. Lo si può scrutare solamente all'alba e al tramonto, nel primo caso a est, mentre nel secondo, a ovest.
Mercurio, come gran parte dei pianeti del Sistema Solare, prende il nome da una divinità Romana. In questo caso la divinità in questione è appunto Mercurio, dio della parola, della retorica e dell'eloquenza; chiamato anche Hermes dai Greci, Thot dagli Egizi ed EnKi dai Sumeri.
Il pianeta non ha atmosfera ma ha un accumulo di vari gas portati dal vento solare e catturati dal flebile campo magnetico. In prevalenza, troviamo potassio e sodio, ma anche altri gas come ossigeno sia "atomico" che "molecolare", argon, elio, anidride carbonica, azoto, acqua e idrogeno. Inoltre, possiede un nucleo davvero massiccio rispetto alle sue proporzioni, la quale parte interna è solida mentre quella più esterna è una miscela liquida in perenne raffreddamento, molto probabilmente caratterizzata da una presenza maggiore di nichel e ferro. Ciò è confermabile dal fatto che, Mercurio, nonostante si tratti di un pianeta di piccole dimensioni, possieda, come scritto, un seppur debole campo magnetico. Si può dunque dire che il nucleo costituisca più di 3/4 dell'intera struttura mercuriale, quindi circa l'82%.
La superficie è molto simile a quella della Luna, infatti, a causa dell'assenza di atmosfera, nulla ha potuto difendere il pianeta dagli impatti di corpi celesti medio-piccoli provenienti dallo spazio che nel corso di miliardi di anni hanno lasciato il segno formando numerosi crateri. I più interessanti sono il grande Bacino Caloris (profondo 9 km e dal diametro di circa 1500 km; risalente a circa 3,5 miliardi di anni) e il molto più piccolo Cratere Zola (dal diametro di circa 70 km). Questa deficienza comporta anche un notevole sbalzo termico fra la parte illuminata dal Sole (con temperature che superano i 350 °C) e quella che rimane in ombra (dove si arriva anche a toccare i -180 °C)
Essendo il pianeta più vicino al Sole, la sua osservazione dettagliata è abbastanza complicata.
Nei cieli della Terra è impossibile vederlo nelle ore notturne a occhio nudo. Lo si può scrutare solamente all'alba e al tramonto, nel primo caso a est, mentre nel secondo, a ovest.
lunedì 23 febbraio 2015
Studio letterale della Bibbia, Ep.4 - La Genesi (secondo capitolo)
Rieccomi amici per una nuova parte; un nuovo inizio che vedrà l'analisi del secondo capitolo della Genesi: parte ricca di spunti, teorie, simbolismo e riflessioni.
Ricapitolando quanto visto nelle precedenti puntate senza addentrarci troppo in dettagli pleonastici: La terra, intesa come materiale fisico, quindi al minuscolo, è informe, vuota e avvolta dall'oscurità, mentre l'oggetto che produce vento di proprietà degli "Elohìm" fluttua sulla superficie dell'acqua. A questo punto, gli "Elohìm" stessi, inizia (non è un errore perché il verbo è al singolare nonostante il soggetto sia plurale) a cambiare il paesaggio dando una forma a due cieli uniti fra loro e alla materia. Quindi per mezzo della sola volontà di questi, spunta improvvisamente la luce che permette così di distinguere il giorno dalla notte. Solo più avanti gli "Elohìm" dà forma ai così chiamati luminari, ovvero il Sole, la Luna e le stelle; che sono, secondo logica, gli unici corpi esistenti in grado di produrre naturalmente luce. In mezzo, "Elohìm" separa con il firmamento due masse d'acqua (abbiamo visto che potrebbe trattarsi: o di un riallaccio al più antico mito Sumero "Enuma Elish", ove secondo questi scritti la Terra, pianeta, sarebbe un frammento di un altro pianeta: Nibìru, staccatosi al termine di una collisione. Le due acque sarebbero dunque le due masse una volta assemblate in un unico pianeta e ora presenti in due diversi corpi celesti divisi dal firmamento. Oppure, in maniera meno mastodontica ma più sorprendente, si tratterebbe dell'operazione di costruzione di una diga attuata da "Elohìm".
Una volta fatto l'ambiente, questi "Elohìm" inizia a sviluppare la vita: vediamo nascere pesci e uccelli, quindi animali domestici, selvatici e rettili (bizzarro che un animale possa nascere addomesticato, in quanto lo stesso termine comporta un intervento strutturale e intelligente esterno. L'unico altro modo sarebbe quello di adattare l'animale appena nato alla realtà domestica, ma, essendo questi gli ipotetici primi esemplari comparsi sul Pianeta, tutto ciò, appare alquanto contraddittorio). Per ultimo, arriva finalmente l'uomo; creato con la parte contenente l'immagine stessa degli "Elohìm" che per la prima volta parlano, vuotando il sacco, palesando la loro pluralità ("facciamo l'uomo..."). Questa "parte che contiene l'immagine" è al giorno d'oggi chiamata DNA.
Termina così il primo capitolo; col sesto giorno che finisce e le creazione finalmente compiutasi secondo il volere degli "Elohìm".
Addentriamoci allora nel secondo capitolo del Libro;
Saltando la prima parte dove Iddio si riposa santificando questo giorno (che gli ebrei riconoscono nel sabato mentre i cristiani nella domenica), andiamo a soffermarci al (v.6), nel quale si spiega come Iddio abbia reso feconda la terra infertile, in quanto, "mai piovette prima di allora". Questo verso, dà grande conferma alla tesi sulla costruzione della diga. Difatti recita:
< (6) Ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo.>
Ora, senza troppe spiegazioni. Sottolineando come questa sia in fondo una teoria che non ha un fondamento etimologico ma sia sola e pura libertà di pensiero; prova a immaginarti del vapore che salendo dalla terra bagna la superficie del suolo. Non ti viene automatico pensare di avere davanti a te, o se non davanti a te nelle vicinanze, una chiusa di una diga che regoli l'afflusso dell'acqua per irrigare i campi? Si apre il portello, e il livello dell'acqua sale...
Andiamo comunque avanti...il verso successivo narra di come Iddio abbia dato la vita all'uomo, dapprima solo essere corporeo. Anche qua possono esserci opinioni contrastanti, ma leggendo bene, si può delineare bene il concetto, anche qui senza dover tradurre dall'ebraico all'italiano. Basta solo leggere nella nostra lingua: vediamo, (v.7):
< (7) Dio il Signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.>
Dio il Signore, che non è YHWH, come vedremo più avanti (poiché qua il "Signore" viene chiamato "Adonài") forma l'uomo dalla polvere della terra. Partendo dal presupposto che: uno, non si crea nulla ma si dà una forma a qualcosa e due che quel qualcosa da cui proviene l'uomo è un qualcosa che esiste già, ossia "la polvere della terra". Io, ho interpretato la "polvere della terra" come una sorta di frase figurata per indicare ciò che in sostanza contasse ben poco, o comunque di meno. Infatti si dà alla polvere un valore insignificante e disprezzante. Vi do allora la mia teoria: Iddio prese una specie che egli stesso fece, oppure già esistente, e mise nel patrimonio genetico di questa, che era "polvere della terra", la "sua immagine", quindi il suo patrimonio. Infatti, l'uomo dopo questo intervento diviene "un'anima vivente" e non "un essere vivente". Il che è ben diverso, perché avere l'anima comporta avere un qualcosa in più, una spinta in più; difatti la stessa etimologia, che è Greca, attribuisce "vento" oppure "soffio" come suo significato. In sintesi: Dio diede a questa specie la cognizione di esistere trasmettendo in essa, se non tutte, una parte delle sue informazioni genetiche.
Andando avanti inizia la storia dell'Eden. E per questo bisogna fare una premessa prima di incominciare questa parte affascinante: tradurre il termine "Eden" come "paradiso terrestre" oppure come "Paradiso" non è sbagliato. Di più.
Infatti, il nome di questa zona compresa fra i fiumi Pison, Ghion, Tigri ed Eufrate, quindi nell'attuale Iraq e nell'allora Mesopotamia, nell'Antico Testamento è chiamata "Gan Eden", ossia "giardino posto in Eden". Che cos'è l'Eden? è il Sumero "Edìn" che significa a grandi linee "il primo luogo dove giunsero". Il nome fu coniato dal dio Sumero Enlil quando questi, assieme agli altri dei (gli Anunna) giunsero sulla Terra. La parola "Gan" che vuol dire "giardino", oppure "luogo recintato" o ancora "frutteto recintato" corrisponde all'iranico "Pairidaeza". Senofonte, filosofo Greco che vedremo, vissuto fra il V e il IV secolo a.C., prese questo termine per descrivere i celebri giardini pensili di Babilonia, grecizzandolo in "Paradèisos" (παράδεισος) dal quale deriva susseguentemente per chiari motivi storici il "Paradisum" latino che infine si tramuta nell'italiano "Paradiso" inteso, soprattutto a partire dal medioevo, come luogo dell'oltretomba perfetto e angelico. Bene, la Bibbia del Paradiso come noi tutti lo intendiamo non ne parla.
Dunque, gli "Elohìm" piantarono un giardino in Eden facendoci crescere piante e animali di ogni genere (v.9), precedentemente vi "posero" l'uomo (v.8) (verbo che da sempre mi è parso inappropriato e al contempo correttamente esplicito). Vediamo allora di soffermarci assieme sul verso (9) del racconto dell'Eden che troviamo nelle bibbie tradizionali:
< (9) Dio Signore fece spuntare ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della Conoscenza del bene e del male. >
Come prima cosa, leggendo la frase senza filtri, si può abbastanza facilmente carpire che "l'albero della vita in mezzo al giardino" e "l'albero della Conoscenza del bene e del male" sono la stessa cosa. Perché non vi è scritto che "l'albero della vita stava e in mezzo al giardino e quello della Conoscenza del bene e del male da un'altra parte".
Quello dell'Albero della Vita è un concetto davvero antico utilizzato da moltissime culture e civiltà che nel corso delle epoche lo hanno rappresentato in modi diversi. Le raffigurazioni più conosciute sono quella taoista dello "yin" e dello "yang" nell'emblema chiamato Tàijìtu, la Stella di David, presente tra l'altro come simbolo nella bandiera dello Stato d'Israele. Oltre che, sempre in tema di ebraismo, in quanto di questo ci stiamo occupando, attraverso le dieci "Sephiròt" della qabbalah.
Tutte, rappresentano la dualità dell'esistenza: il "maschio" e la "femmina", il "giorno" e la "notte". E tutte insegnano che comprendendo che gli opposti sono in realtà due facce della stessa medaglia formate illusoriamente dalla mente e dal punto di vista dell'osservatore, si può raggiungere la cosiddetta terza via: la vita. Che in questo caso sarebbe ciò che noi chiamiamo anima e che a differenza degli altri due aspetti della coscienza dell'uomo; ovvero la mente e lo spirito, associati rispettivamente all'emisfero sinistro e a quello destro, l'anima, non ha né tempo né spazio. E' dunque un'energia che non ha un inizio o una fine, ma è eterna, dunque è Vita che si incarna. Oppure vite, come vediamo ora e come ho già accennato.
NOTA:
((Se non hai ben compreso cosa centri la Stella di David con tutto questo: basta che anziché considerarla una stella a sei punte considerassi che questo simbolo sono in realtà due triangoli, uno verso l'alto e uno verso il basso. L'unione degli opposti quindi. Uno rappresenta lo yin e l'altro lo yang))
Difatti, nella Tanàkh, "l'albero della Vita" non è chiamato albero della Vita ma albero "DALLE" vite. Vite che sarebbero le esperienze della nascita e della morte che l'anima fa incarnandosi nei corpi.
<Ve'hetz ha'haiim ha'dahath tov ve'rah>: ...C'è scritto
- "Hetz" è "albero", accompagnato da "ve" che in questo caso funge da articolo determinativo maschile singolare. Dunque, in italiano, "l'albero".
- "Haiim", è accompagnato da "Ha" che significa "della", quindi al singolare. Ma come nel caso del primo verso della Genesi ("Bereshìt barà Elohìm") quello che in questo caso è il complemento oggetto è al plurale. Infatti, come potete vedere "Haiim" termina con -im e non con -ah, dunque è plurale, quindi, letteralmente è "l'Albero della Vite" e non si riferisce a un vitigno ma a una pluralità identificata al singolare in quanto la vita del presente, essendo una sola, si manifesta come tale al singolare. Ma l'albero è palesemente "delle" vite.
Quindi troviamo:
- "Dahath", la "Conoscenza",
- "Tov", il "Bene". Significa anche "fermezza", inteso come fermezza e stabilità interiore. E infine:
- "Rah", preceduto dalla solita congiunzione "ve" che da un punto di vista sempre esoterico rappresenta l'unicità e la totalità. "Rah"è l'opposto di "Tov", dunque è il "Male". Il male, oltre che essere valutato nel suo senso assoluto, può essere anche considerato in questo caso come "ciò che non è ancora bene", quindi ciò che non è ancora maturo; metaforicamente parlando il frutto acerbo.
A questo punto, una volta detto all'"Adàm", letteralmente "il terrestre", l'"abitante della Terra", che egli può mangiare tutti i frutti che vuole tranne quello della Conoscenza del bene e del male perché altrimenti morrà (come vedremmo, morrà non è inteso come "morire fisicamente", infatti una volta mangiato il frutto i due non muoiono, ma è inteso come "morire incosciente per rinascere cosciente del proprio potenziale"), il "Signore Iddio" raduna attorno ad Ish, che è il nome di Adamo, tutti gli animali che egli stesso ha creato ma ad Adamo sessualmente non soddisfano. (Lo posso capire dai). Dio vede e dunque provvede.
La parte che segue è la conclusione di questa puntata: sono i versi che vanno dal (21) al (24). Leggiamoli, analizziamoli eppoi ci diamo appuntamento alla prossima puntata:
< (21) Allora il Signore Iddio fece cadere un sonno profondo su Adamo, che si addormentò. Quindi prese una costola di lui e al posto di essa riformò la carne. (22) E il Signore Iddio dalla costola tolta ad Adamo formò una donna e la condusse ad Adamo. (23) E Adamo esclamò: Ora si che questa è osso delle mie ossa! e carne della mia carne! Sarà chiamata ISHAH, donna, perché da ISH, uomo, è stata tolta. (24) Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e saranno una sola carne. (25) E Adamo e sua moglie erano tutti e due nudi e non ne avevano vergogna.>
Questa è senza dubbio una delle parti più controverse dell'intero insieme di libri. Tutta la controversia è sostanzialmente il frutto di una sbagliata traduzione che vede Eva essere formata da una costola di Adamo. Ebbene, NESSUNA edizione biblica scritta in ebraico parla di costola, bensì, di "parte laterale ricurva". Chiamata "Tselah".
Fatta la premessa, proseguiamo con ordine.
Come prima cosa a me, non so a voi, pare buffo e bislacco che il "Signore Iddio" onnipotente per fare la donna debba indurre in Adamo un sonno profondo affinché gli possa estrarre dal corpo la sua "parte laterale ricurva". Questa operazione già fa capire come forse così onnipotente non lo sia.
La religione e il mito sono le narrazioni del passato e come tali i loro racconti sono scritti in modo non metaforico, come qualcuno vuole far credere dando sfoggio a teorie e relazioni che superano il grottesco, ma in modo archetipico.
Secondo voi, cosa fa il "Signore Iddio" quando induce il sonno in Adamo ed estrae qualcosa dal suo corpo? provate ad andare in un ospedale...troverete la risposta.
Se poi vi dicessi che nel corpo umano, al giorno d'oggi, dalla cresta dell'osso iliaco si asportano le cellule staminali e che questo osso è la parte laterale ricurva che costituisce lo scheletro del bacino? Penso che tutto possa tornare in modo nitido e schiacciante.
Per incrementare ulteriormente quella che è ben più di un'ipotesi, dobbiamo fare un rapido salto in un altro testo considerato sacro dagli ebrei, secondo solo alla Tanàkh: ovvero il Talmùd. Nel "Talmùd" è specificato più volte che a operare Adamo non siano stati gli "Elohìm" ma i "Refaìm", chiamati anche "Rofìm". Attenzione, i "Refaìm" non vanno considerati esseri a parte, in quanto nel racconto si specifica come questi siamo "Elohìm" che in quel caso "svolgono una precisa funzione". Possiamo dunque tradurre "Refaìm" come "medici", "dottori" o ancora meglio "chirurghi". Sebbene l'etimologia non sia mai spiegata ma sia il contesto a farlo intendere.
Ritorniamo nel tema che propone la rubrica congedandomi a voi con una riflessione postulata: quindi, ad Adamo viene applicata un'anestesia che lo fa addormentare, loro gli estraggono questo "Tselah" che guarda caso ha la stessa radice di "Tslèm", allorché si comprende che il riferimento va sempre verso quell'"immagine" trasmessa dal patrimonio. Con lo "tselah" clonano la donna che viene chiamata, Ishah, Eva.
Gli ultimi due versi (24) e (25) sono una sorta di prefazione riguardo a quanto si tratterà nel capitolo successivo, il terzo. Infatti si inizia a comprendere che la possibilità di avere una compagna sessualmente soddisfacente, porterà Adamo ed Eva a sperimentare sulla loro pelle ciò che segue al rapporto sessuale e a distinguere così in senso davvero pratico ciò che è bene e ciò che è male.
Gli "Adàm" a questo punto iniziano ad essere pronti a vivere da soli, senza l'ausilio esterno di Dio. Potranno così come scritto "lasciare il padre e la madre per unirsi in una sola carne" (v.24) incominciando a testare il sesso "senza vergogna"(v.25), salvo poi susseguentemente scoprirla.
Ricapitolando quanto visto nelle precedenti puntate senza addentrarci troppo in dettagli pleonastici: La terra, intesa come materiale fisico, quindi al minuscolo, è informe, vuota e avvolta dall'oscurità, mentre l'oggetto che produce vento di proprietà degli "Elohìm" fluttua sulla superficie dell'acqua. A questo punto, gli "Elohìm" stessi, inizia (non è un errore perché il verbo è al singolare nonostante il soggetto sia plurale) a cambiare il paesaggio dando una forma a due cieli uniti fra loro e alla materia. Quindi per mezzo della sola volontà di questi, spunta improvvisamente la luce che permette così di distinguere il giorno dalla notte. Solo più avanti gli "Elohìm" dà forma ai così chiamati luminari, ovvero il Sole, la Luna e le stelle; che sono, secondo logica, gli unici corpi esistenti in grado di produrre naturalmente luce. In mezzo, "Elohìm" separa con il firmamento due masse d'acqua (abbiamo visto che potrebbe trattarsi: o di un riallaccio al più antico mito Sumero "Enuma Elish", ove secondo questi scritti la Terra, pianeta, sarebbe un frammento di un altro pianeta: Nibìru, staccatosi al termine di una collisione. Le due acque sarebbero dunque le due masse una volta assemblate in un unico pianeta e ora presenti in due diversi corpi celesti divisi dal firmamento. Oppure, in maniera meno mastodontica ma più sorprendente, si tratterebbe dell'operazione di costruzione di una diga attuata da "Elohìm".
Una volta fatto l'ambiente, questi "Elohìm" inizia a sviluppare la vita: vediamo nascere pesci e uccelli, quindi animali domestici, selvatici e rettili (bizzarro che un animale possa nascere addomesticato, in quanto lo stesso termine comporta un intervento strutturale e intelligente esterno. L'unico altro modo sarebbe quello di adattare l'animale appena nato alla realtà domestica, ma, essendo questi gli ipotetici primi esemplari comparsi sul Pianeta, tutto ciò, appare alquanto contraddittorio). Per ultimo, arriva finalmente l'uomo; creato con la parte contenente l'immagine stessa degli "Elohìm" che per la prima volta parlano, vuotando il sacco, palesando la loro pluralità ("facciamo l'uomo..."). Questa "parte che contiene l'immagine" è al giorno d'oggi chiamata DNA.
Termina così il primo capitolo; col sesto giorno che finisce e le creazione finalmente compiutasi secondo il volere degli "Elohìm".
Addentriamoci allora nel secondo capitolo del Libro;
Saltando la prima parte dove Iddio si riposa santificando questo giorno (che gli ebrei riconoscono nel sabato mentre i cristiani nella domenica), andiamo a soffermarci al (v.6), nel quale si spiega come Iddio abbia reso feconda la terra infertile, in quanto, "mai piovette prima di allora". Questo verso, dà grande conferma alla tesi sulla costruzione della diga. Difatti recita:
< (6) Ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo.>
Ora, senza troppe spiegazioni. Sottolineando come questa sia in fondo una teoria che non ha un fondamento etimologico ma sia sola e pura libertà di pensiero; prova a immaginarti del vapore che salendo dalla terra bagna la superficie del suolo. Non ti viene automatico pensare di avere davanti a te, o se non davanti a te nelle vicinanze, una chiusa di una diga che regoli l'afflusso dell'acqua per irrigare i campi? Si apre il portello, e il livello dell'acqua sale...
Andiamo comunque avanti...il verso successivo narra di come Iddio abbia dato la vita all'uomo, dapprima solo essere corporeo. Anche qua possono esserci opinioni contrastanti, ma leggendo bene, si può delineare bene il concetto, anche qui senza dover tradurre dall'ebraico all'italiano. Basta solo leggere nella nostra lingua: vediamo, (v.7):
< (7) Dio il Signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.>
Dio il Signore, che non è YHWH, come vedremo più avanti (poiché qua il "Signore" viene chiamato "Adonài") forma l'uomo dalla polvere della terra. Partendo dal presupposto che: uno, non si crea nulla ma si dà una forma a qualcosa e due che quel qualcosa da cui proviene l'uomo è un qualcosa che esiste già, ossia "la polvere della terra". Io, ho interpretato la "polvere della terra" come una sorta di frase figurata per indicare ciò che in sostanza contasse ben poco, o comunque di meno. Infatti si dà alla polvere un valore insignificante e disprezzante. Vi do allora la mia teoria: Iddio prese una specie che egli stesso fece, oppure già esistente, e mise nel patrimonio genetico di questa, che era "polvere della terra", la "sua immagine", quindi il suo patrimonio. Infatti, l'uomo dopo questo intervento diviene "un'anima vivente" e non "un essere vivente". Il che è ben diverso, perché avere l'anima comporta avere un qualcosa in più, una spinta in più; difatti la stessa etimologia, che è Greca, attribuisce "vento" oppure "soffio" come suo significato. In sintesi: Dio diede a questa specie la cognizione di esistere trasmettendo in essa, se non tutte, una parte delle sue informazioni genetiche.
Andando avanti inizia la storia dell'Eden. E per questo bisogna fare una premessa prima di incominciare questa parte affascinante: tradurre il termine "Eden" come "paradiso terrestre" oppure come "Paradiso" non è sbagliato. Di più.
Infatti, il nome di questa zona compresa fra i fiumi Pison, Ghion, Tigri ed Eufrate, quindi nell'attuale Iraq e nell'allora Mesopotamia, nell'Antico Testamento è chiamata "Gan Eden", ossia "giardino posto in Eden". Che cos'è l'Eden? è il Sumero "Edìn" che significa a grandi linee "il primo luogo dove giunsero". Il nome fu coniato dal dio Sumero Enlil quando questi, assieme agli altri dei (gli Anunna) giunsero sulla Terra. La parola "Gan" che vuol dire "giardino", oppure "luogo recintato" o ancora "frutteto recintato" corrisponde all'iranico "Pairidaeza". Senofonte, filosofo Greco che vedremo, vissuto fra il V e il IV secolo a.C., prese questo termine per descrivere i celebri giardini pensili di Babilonia, grecizzandolo in "Paradèisos" (παράδεισος) dal quale deriva susseguentemente per chiari motivi storici il "Paradisum" latino che infine si tramuta nell'italiano "Paradiso" inteso, soprattutto a partire dal medioevo, come luogo dell'oltretomba perfetto e angelico. Bene, la Bibbia del Paradiso come noi tutti lo intendiamo non ne parla.
Dunque, gli "Elohìm" piantarono un giardino in Eden facendoci crescere piante e animali di ogni genere (v.9), precedentemente vi "posero" l'uomo (v.8) (verbo che da sempre mi è parso inappropriato e al contempo correttamente esplicito). Vediamo allora di soffermarci assieme sul verso (9) del racconto dell'Eden che troviamo nelle bibbie tradizionali:
< (9) Dio Signore fece spuntare ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della Conoscenza del bene e del male. >
Come prima cosa, leggendo la frase senza filtri, si può abbastanza facilmente carpire che "l'albero della vita in mezzo al giardino" e "l'albero della Conoscenza del bene e del male" sono la stessa cosa. Perché non vi è scritto che "l'albero della vita stava e in mezzo al giardino e quello della Conoscenza del bene e del male da un'altra parte".
Quello dell'Albero della Vita è un concetto davvero antico utilizzato da moltissime culture e civiltà che nel corso delle epoche lo hanno rappresentato in modi diversi. Le raffigurazioni più conosciute sono quella taoista dello "yin" e dello "yang" nell'emblema chiamato Tàijìtu, la Stella di David, presente tra l'altro come simbolo nella bandiera dello Stato d'Israele. Oltre che, sempre in tema di ebraismo, in quanto di questo ci stiamo occupando, attraverso le dieci "Sephiròt" della qabbalah.
Tutte, rappresentano la dualità dell'esistenza: il "maschio" e la "femmina", il "giorno" e la "notte". E tutte insegnano che comprendendo che gli opposti sono in realtà due facce della stessa medaglia formate illusoriamente dalla mente e dal punto di vista dell'osservatore, si può raggiungere la cosiddetta terza via: la vita. Che in questo caso sarebbe ciò che noi chiamiamo anima e che a differenza degli altri due aspetti della coscienza dell'uomo; ovvero la mente e lo spirito, associati rispettivamente all'emisfero sinistro e a quello destro, l'anima, non ha né tempo né spazio. E' dunque un'energia che non ha un inizio o una fine, ma è eterna, dunque è Vita che si incarna. Oppure vite, come vediamo ora e come ho già accennato.
NOTA:
((Se non hai ben compreso cosa centri la Stella di David con tutto questo: basta che anziché considerarla una stella a sei punte considerassi che questo simbolo sono in realtà due triangoli, uno verso l'alto e uno verso il basso. L'unione degli opposti quindi. Uno rappresenta lo yin e l'altro lo yang))
Difatti, nella Tanàkh, "l'albero della Vita" non è chiamato albero della Vita ma albero "DALLE" vite. Vite che sarebbero le esperienze della nascita e della morte che l'anima fa incarnandosi nei corpi.
<Ve'hetz ha'haiim ha'dahath tov ve'rah>: ...C'è scritto
- "Hetz" è "albero", accompagnato da "ve" che in questo caso funge da articolo determinativo maschile singolare. Dunque, in italiano, "l'albero".
- "Haiim", è accompagnato da "Ha" che significa "della", quindi al singolare. Ma come nel caso del primo verso della Genesi ("Bereshìt barà Elohìm") quello che in questo caso è il complemento oggetto è al plurale. Infatti, come potete vedere "Haiim" termina con -im e non con -ah, dunque è plurale, quindi, letteralmente è "l'Albero della Vite" e non si riferisce a un vitigno ma a una pluralità identificata al singolare in quanto la vita del presente, essendo una sola, si manifesta come tale al singolare. Ma l'albero è palesemente "delle" vite.
Quindi troviamo:
- "Dahath", la "Conoscenza",
- "Tov", il "Bene". Significa anche "fermezza", inteso come fermezza e stabilità interiore. E infine:
- "Rah", preceduto dalla solita congiunzione "ve" che da un punto di vista sempre esoterico rappresenta l'unicità e la totalità. "Rah"è l'opposto di "Tov", dunque è il "Male". Il male, oltre che essere valutato nel suo senso assoluto, può essere anche considerato in questo caso come "ciò che non è ancora bene", quindi ciò che non è ancora maturo; metaforicamente parlando il frutto acerbo.
A questo punto, una volta detto all'"Adàm", letteralmente "il terrestre", l'"abitante della Terra", che egli può mangiare tutti i frutti che vuole tranne quello della Conoscenza del bene e del male perché altrimenti morrà (come vedremmo, morrà non è inteso come "morire fisicamente", infatti una volta mangiato il frutto i due non muoiono, ma è inteso come "morire incosciente per rinascere cosciente del proprio potenziale"), il "Signore Iddio" raduna attorno ad Ish, che è il nome di Adamo, tutti gli animali che egli stesso ha creato ma ad Adamo sessualmente non soddisfano. (Lo posso capire dai). Dio vede e dunque provvede.
La parte che segue è la conclusione di questa puntata: sono i versi che vanno dal (21) al (24). Leggiamoli, analizziamoli eppoi ci diamo appuntamento alla prossima puntata:
< (21) Allora il Signore Iddio fece cadere un sonno profondo su Adamo, che si addormentò. Quindi prese una costola di lui e al posto di essa riformò la carne. (22) E il Signore Iddio dalla costola tolta ad Adamo formò una donna e la condusse ad Adamo. (23) E Adamo esclamò: Ora si che questa è osso delle mie ossa! e carne della mia carne! Sarà chiamata ISHAH, donna, perché da ISH, uomo, è stata tolta. (24) Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e saranno una sola carne. (25) E Adamo e sua moglie erano tutti e due nudi e non ne avevano vergogna.>
Questa è senza dubbio una delle parti più controverse dell'intero insieme di libri. Tutta la controversia è sostanzialmente il frutto di una sbagliata traduzione che vede Eva essere formata da una costola di Adamo. Ebbene, NESSUNA edizione biblica scritta in ebraico parla di costola, bensì, di "parte laterale ricurva". Chiamata "Tselah".
Fatta la premessa, proseguiamo con ordine.
Come prima cosa a me, non so a voi, pare buffo e bislacco che il "Signore Iddio" onnipotente per fare la donna debba indurre in Adamo un sonno profondo affinché gli possa estrarre dal corpo la sua "parte laterale ricurva". Questa operazione già fa capire come forse così onnipotente non lo sia.
La religione e il mito sono le narrazioni del passato e come tali i loro racconti sono scritti in modo non metaforico, come qualcuno vuole far credere dando sfoggio a teorie e relazioni che superano il grottesco, ma in modo archetipico.
Secondo voi, cosa fa il "Signore Iddio" quando induce il sonno in Adamo ed estrae qualcosa dal suo corpo? provate ad andare in un ospedale...troverete la risposta.
Se poi vi dicessi che nel corpo umano, al giorno d'oggi, dalla cresta dell'osso iliaco si asportano le cellule staminali e che questo osso è la parte laterale ricurva che costituisce lo scheletro del bacino? Penso che tutto possa tornare in modo nitido e schiacciante.
Per incrementare ulteriormente quella che è ben più di un'ipotesi, dobbiamo fare un rapido salto in un altro testo considerato sacro dagli ebrei, secondo solo alla Tanàkh: ovvero il Talmùd. Nel "Talmùd" è specificato più volte che a operare Adamo non siano stati gli "Elohìm" ma i "Refaìm", chiamati anche "Rofìm". Attenzione, i "Refaìm" non vanno considerati esseri a parte, in quanto nel racconto si specifica come questi siamo "Elohìm" che in quel caso "svolgono una precisa funzione". Possiamo dunque tradurre "Refaìm" come "medici", "dottori" o ancora meglio "chirurghi". Sebbene l'etimologia non sia mai spiegata ma sia il contesto a farlo intendere.
Ritorniamo nel tema che propone la rubrica congedandomi a voi con una riflessione postulata: quindi, ad Adamo viene applicata un'anestesia che lo fa addormentare, loro gli estraggono questo "Tselah" che guarda caso ha la stessa radice di "Tslèm", allorché si comprende che il riferimento va sempre verso quell'"immagine" trasmessa dal patrimonio. Con lo "tselah" clonano la donna che viene chiamata, Ishah, Eva.
Gli ultimi due versi (24) e (25) sono una sorta di prefazione riguardo a quanto si tratterà nel capitolo successivo, il terzo. Infatti si inizia a comprendere che la possibilità di avere una compagna sessualmente soddisfacente, porterà Adamo ed Eva a sperimentare sulla loro pelle ciò che segue al rapporto sessuale e a distinguere così in senso davvero pratico ciò che è bene e ciò che è male.
Gli "Adàm" a questo punto iniziano ad essere pronti a vivere da soli, senza l'ausilio esterno di Dio. Potranno così come scritto "lasciare il padre e la madre per unirsi in una sola carne" (v.24) incominciando a testare il sesso "senza vergogna"(v.25), salvo poi susseguentemente scoprirla.
Cultura: che cos'è l'anemia, e come la si cura?
L'anemia è una malattia causata dalla carenza di emoglobina nel sangue. Una molecola dei globuli rossi incaricata a portare ossigeno nel corpo.
Questa deficienza comporta inevitabilmente stanchezza, spossatezza, sensazioni di freddo e abulia.
Per contrastarla, è utile mangiare cibi ricchi di ferro e proteine come carne, pesce, uova, tofu, seitan, alcuni tipi di pasta e legumi (anche se questi vengono assimilati dal metabolismo con maggiore difficoltà), accompagnati da pietanze o bevande ricche di vitamina c, dunque, tutto ciò che ha che fare con la frutta, in modo particolare con gli agrumi.
Questa deficienza comporta inevitabilmente stanchezza, spossatezza, sensazioni di freddo e abulia.
Per contrastarla, è utile mangiare cibi ricchi di ferro e proteine come carne, pesce, uova, tofu, seitan, alcuni tipi di pasta e legumi (anche se questi vengono assimilati dal metabolismo con maggiore difficoltà), accompagnati da pietanze o bevande ricche di vitamina c, dunque, tutto ciò che ha che fare con la frutta, in modo particolare con gli agrumi.
sabato 21 febbraio 2015
21 febbraio, accadeva oggi...
1431: Inizia il processo per eresia che vedrà la condanna al rogo di Giovanna d'Arco (1412-1431).
1440: Si forma la Confederazione Prussiana.
1453: Termina la battaglia di Wayna Daga che vede le truppe etiopico-portoghesi sconfiggere i musulmani.
1613: Michele di Russia (1596-1645) viene eletto zar dando inizio alla seconda dinastia dei Romanov. Dinastia che regnerà in Russia fino alla Rivoluzione d'Ottobre (1917).
1743: Si svolge a Londra la prima esecuzione dell'opera "Sansone" del compositore Georg Friedrich Händel (1685-1759).
1804: Viene brevettata, in Galles, la prima locomotiva a vapore.
1842: Viene brevettata la prima macchina da cucito.
1846: Edward Dembowski (1822-1846) guida i polacchi alla rivolta contro l'Austria nella cosiddetta "Rivolta di Cracovia". Dembowski perirà nella battaglia che seguirà, all'età di 24 anni.
1848: I filosofi Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) pubblicano il "Manifesto del Partito Comunista". Trattato politico-filosofico che ispirerà, tra gli altri, Lenin (1870-1924) per la futura instaurazione del bolscevismo in Russia.
1878. A New Heven, città degli Stati Uniti, viene distribuito il primo elenco telefonico.
1885: Viene inaugurato a Washington D.C il Monumento a Washington (l'obelisco in marmo in stile Egizio).
1918: Muore, nello zoo di Cincinnati l'ultimo esemplare al mondo di pappagallo della Carolina. La specie dunque si estingue.
1943: Termina la Battaglia di Guadalcanal fra le truppe Alleate e l'Impero giapponese.
1947: A New York viene testata in una conferenza la prima macchina fotografica istantanea: la "Polaroid Land Camera".
1953: Gli scienziati Francis Crick (1916-2004) e James Watson (1928) scoprono la struttura molecolare del DNA.
1965: L'attivista afroamericano Malcom "X" Little (1925-1965) viene assassinato da alcuni membri del Noi (Nation of Islam), una setta di matrice islamica.
1972: La navetta sovietica spaziale Luna 20 (vuota) alluna sulla superficie del nostro satellite naturale.
1995: L'aviatore statunitense Steve Fossett (1944-2007) è il primo uomo al mondo a compiere in solitaria l'intera attraversata dell'Oceano Pacifico in mongolfiera.
2008: Viene riconosciuta l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia e dall'Albania. Anche se in parte in quanto tutt'ora il Kosovo non è riconosciuto dall'ONU come stato.
1440: Si forma la Confederazione Prussiana.
1453: Termina la battaglia di Wayna Daga che vede le truppe etiopico-portoghesi sconfiggere i musulmani.
1613: Michele di Russia (1596-1645) viene eletto zar dando inizio alla seconda dinastia dei Romanov. Dinastia che regnerà in Russia fino alla Rivoluzione d'Ottobre (1917).
1743: Si svolge a Londra la prima esecuzione dell'opera "Sansone" del compositore Georg Friedrich Händel (1685-1759).
1804: Viene brevettata, in Galles, la prima locomotiva a vapore.
1842: Viene brevettata la prima macchina da cucito.
1846: Edward Dembowski (1822-1846) guida i polacchi alla rivolta contro l'Austria nella cosiddetta "Rivolta di Cracovia". Dembowski perirà nella battaglia che seguirà, all'età di 24 anni.
1848: I filosofi Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) pubblicano il "Manifesto del Partito Comunista". Trattato politico-filosofico che ispirerà, tra gli altri, Lenin (1870-1924) per la futura instaurazione del bolscevismo in Russia.
1878. A New Heven, città degli Stati Uniti, viene distribuito il primo elenco telefonico.
1885: Viene inaugurato a Washington D.C il Monumento a Washington (l'obelisco in marmo in stile Egizio).
1918: Muore, nello zoo di Cincinnati l'ultimo esemplare al mondo di pappagallo della Carolina. La specie dunque si estingue.
1943: Termina la Battaglia di Guadalcanal fra le truppe Alleate e l'Impero giapponese.
1947: A New York viene testata in una conferenza la prima macchina fotografica istantanea: la "Polaroid Land Camera".
1953: Gli scienziati Francis Crick (1916-2004) e James Watson (1928) scoprono la struttura molecolare del DNA.
1965: L'attivista afroamericano Malcom "X" Little (1925-1965) viene assassinato da alcuni membri del Noi (Nation of Islam), una setta di matrice islamica.
1972: La navetta sovietica spaziale Luna 20 (vuota) alluna sulla superficie del nostro satellite naturale.
1995: L'aviatore statunitense Steve Fossett (1944-2007) è il primo uomo al mondo a compiere in solitaria l'intera attraversata dell'Oceano Pacifico in mongolfiera.
2008: Viene riconosciuta l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia e dall'Albania. Anche se in parte in quanto tutt'ora il Kosovo non è riconosciuto dall'ONU come stato.
venerdì 20 febbraio 2015
Studio letterale della Bibbia, Ep.3 - La Genesi (fine del primo capitolo)
Nello scorso episodio, il secondo, abbiamo visto assieme il "Primo" e il "Secondo" giorno della creazione (v.3-8). Dimostrando l'autenticità del "Primo giorno", almeno per quello è pervenuto ai giorni nostri.
La prima cosa che faremo quest'oggi sarà quella di provare a dare una risposta a questi tre versetti, che, come vedremo fra poco, paiono ambigui.
Nella seconda parte, invece, ho dato due possibili risposte riguardo a cosa fossero le "due acque separate dal firmamento". La prima, va letta in chiave mitologica, in quanto sarebbe una rielaborazione del'antico testo Sumero "Enuma Elish" (Quando là in alto); nel quale si dice che la Terra si formò posteriormente dalla collisione fra il pianeta "Tiamàt", disintegratosi, e il pianeta "Nibìru", del quale la Terra sarebbe un frammento. Le "due acque separate dal firmamento" sarebbero quindi l'acqua presente sul pianeta Terra e l'acqua presente sul pianeta "Nibìru", una volta unite, mentre ora separati dalle stelle, allorché dal firmamento.
L'altra ipotesi, invece, è quella che "Elohìm" avrebbero potuto modificare il territorio circostante spostando due masse d'acqua presenti sulla Terra e dividendole per mezzo di una grande diga che avrebbe separato l'acqua della pianura, in basso, da quella del bacino artificiale, in alto. Vedendo la diga dal basso, le stelle; dunque il firmamento, sarebbe parso più vicino all'acqua del bacino, in quanto questi non si sarebbe potuto vedere dal basso.
Iniziamo questa terza puntata sullo "studio" letterale dell'Antico Testamento che andrà a terminare con la fine del primo capitolo della Genesi.
Saltiamo un giorno, e passiamo così al "Quarto". Vediamo i versi (14-16)
< (14)Poi Iddio disse: Siano dei luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte, e siano come segni per distinguere le stagioni, i giorni e gli anni. (15) E servano come luminari del firmamento del cielo e per dare la luce sopra la terra. E così fu. (16) E Iddio fece i due grandi luminari; il luminario maggiore per presiedere il giorno e il luminare minore per presiedere la notte, e le stelle.>
Come abbiamo visto, gli "Elohìm" diedero forma alla luce distinguendo il "Giorno" dalla "Notte" (v.3-5). Cosicché pare strano il fatto che Dio prima faccia la luce distinguendo il giorno con la notte e dopo crea i "luminari", ovvero gli astri: il sole che è il "luminare maggiore" per il giorno e la luna "il luminare minore" per la notte. La spiegazione al quesito, se ponderata con umiltà e senza filtri è ovvia: quanto descritto è un ambiente settico e artificiale creato dagli "Elohìm", i quali, o per il momento, il quale, stanno riproducendo "dentro" a questo ambiente quanto già esistesse "fuori". Per ora mi fermo qua. Proseguiamo:
Saltando così al "Sesto giorno";
< (24) Poi Iddio disse: produca la terra animali viventi secondo la loro specie: animali domestici, rettili, bestie selvagge sulla terra, secondo la loro specie. (25) Così Iddio fece le bestie selvagge della terra, secondo la loro specie, gli animali domestici, secondo la loro specie e tutti i rettili della terra, secondo la loro specie. E Iddio vide che ciò era buono. (26) Poi Iddio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza..... (27) Così Iddio creò l'uomo a sua immagine. >
Innanzitutto pare quanto meno strano che un animale possa nascere già "domestico" e ciò dovrebbe fare capire come "Elohìm" non crearono i primi animali sulla Terra, bensì crearono un gruppo di animali e basta. In questo caso.
Ma mettiamo i versi (24, 25) anche i secondo piano di modo che si possano analizzare i restanti due che sono, molto probabilmente, i più celebri dell'intero Antico Testamento, nonché i diretti ispiratori al nome del nostro blog.
Per capire bene questi due versi (26, 27) non c'è bisogno di analizzare parola per parola, oppure ideare chissà interpretazione filo-teologica: basta individuare un termine e carpirne l'etimologia. Capendo in sostanza anche l'intero contenuto della "Tanàkh". Questo termine è l'"immagine" che in ebraico è scritto e si dice "Tselèm".
Che cosa vuol dire "Tselèm" in ebraico? Ebbene, significa letteralmente "ciò che contiene l'immagine". Dunque gli "Elohìm", che in questo caso si manifestano ufficialmente per la prima volta come gruppo, in quanto sono loro stessi a parlare al plurale dicendo "Facciamo", "danno forma" all'uomo attraverso quel qualcosa che appartiene a loro e che "contiene la loro immagine".
Come si chiama al giorno d'oggi quella cosa che contiene "l'immagine", quindi il fenotipo, di un essere vivente? DNA.
Termina in questo modo l'analisi del primo capitolo della Bibbia. Purtroppo, per mancanza di tempo, in questa puntata mi fermo qui non potendo così vedere, come avevo promesso alla fine del secondo episodio, la storia del giardino che fu posto in Eden. Analisi che farò comunque a partire dal prossimo episodio.
Facciamo dunque un riassunto di quanto realizzato in queste prime 3 puntate: abbiamo osservato come gli "Elohìm" abbiano creato due cieli e la materia, mentre l'oggetto di loro proprietà che produce vento fluttuava sulle acque. Quindi, essendo tutto avvolto nella tenebra, gli "Elohìm" crearono la luce per distinguere il giorno dalla notte (che è la tenebra stessa). Solo dopo aver fatto questo separarono due masse d'acqua per mezzo di una struttura che potrebbe essere una sorta di diga. Quindi, fecero il Sole, la Luna e le stelle: da questo si comprende come la luce precedente che servì per illuminare la tenebra, o la luce stessa degli astri, oppure addirittura entrambe le "luci" (la luce del secondo giorno e quella sottintesa degli astri, che pare avere, quest'ultima, una funzione più organizzatrice che "formatrice" o matrice di luce) siano di origine artificiale. Abbiamo inoltre notato che gli animali creati dagli "Elohìm" non furono i primi ad essere stati creati, in quanto non possono nascere animali già "domestici". E, dulcis in fundo, che gli "Elohìm" crearono l'uomo utilizzando il loro DNA. Alla prossima!
La prima cosa che faremo quest'oggi sarà quella di provare a dare una risposta a questi tre versetti, che, come vedremo fra poco, paiono ambigui.
Nella seconda parte, invece, ho dato due possibili risposte riguardo a cosa fossero le "due acque separate dal firmamento". La prima, va letta in chiave mitologica, in quanto sarebbe una rielaborazione del'antico testo Sumero "Enuma Elish" (Quando là in alto); nel quale si dice che la Terra si formò posteriormente dalla collisione fra il pianeta "Tiamàt", disintegratosi, e il pianeta "Nibìru", del quale la Terra sarebbe un frammento. Le "due acque separate dal firmamento" sarebbero quindi l'acqua presente sul pianeta Terra e l'acqua presente sul pianeta "Nibìru", una volta unite, mentre ora separati dalle stelle, allorché dal firmamento.
L'altra ipotesi, invece, è quella che "Elohìm" avrebbero potuto modificare il territorio circostante spostando due masse d'acqua presenti sulla Terra e dividendole per mezzo di una grande diga che avrebbe separato l'acqua della pianura, in basso, da quella del bacino artificiale, in alto. Vedendo la diga dal basso, le stelle; dunque il firmamento, sarebbe parso più vicino all'acqua del bacino, in quanto questi non si sarebbe potuto vedere dal basso.
Iniziamo questa terza puntata sullo "studio" letterale dell'Antico Testamento che andrà a terminare con la fine del primo capitolo della Genesi.
Saltiamo un giorno, e passiamo così al "Quarto". Vediamo i versi (14-16)
< (14)Poi Iddio disse: Siano dei luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte, e siano come segni per distinguere le stagioni, i giorni e gli anni. (15) E servano come luminari del firmamento del cielo e per dare la luce sopra la terra. E così fu. (16) E Iddio fece i due grandi luminari; il luminario maggiore per presiedere il giorno e il luminare minore per presiedere la notte, e le stelle.>
Come abbiamo visto, gli "Elohìm" diedero forma alla luce distinguendo il "Giorno" dalla "Notte" (v.3-5). Cosicché pare strano il fatto che Dio prima faccia la luce distinguendo il giorno con la notte e dopo crea i "luminari", ovvero gli astri: il sole che è il "luminare maggiore" per il giorno e la luna "il luminare minore" per la notte. La spiegazione al quesito, se ponderata con umiltà e senza filtri è ovvia: quanto descritto è un ambiente settico e artificiale creato dagli "Elohìm", i quali, o per il momento, il quale, stanno riproducendo "dentro" a questo ambiente quanto già esistesse "fuori". Per ora mi fermo qua. Proseguiamo:
Saltando così al "Sesto giorno";
< (24) Poi Iddio disse: produca la terra animali viventi secondo la loro specie: animali domestici, rettili, bestie selvagge sulla terra, secondo la loro specie. (25) Così Iddio fece le bestie selvagge della terra, secondo la loro specie, gli animali domestici, secondo la loro specie e tutti i rettili della terra, secondo la loro specie. E Iddio vide che ciò era buono. (26) Poi Iddio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza..... (27) Così Iddio creò l'uomo a sua immagine. >
Innanzitutto pare quanto meno strano che un animale possa nascere già "domestico" e ciò dovrebbe fare capire come "Elohìm" non crearono i primi animali sulla Terra, bensì crearono un gruppo di animali e basta. In questo caso.
Ma mettiamo i versi (24, 25) anche i secondo piano di modo che si possano analizzare i restanti due che sono, molto probabilmente, i più celebri dell'intero Antico Testamento, nonché i diretti ispiratori al nome del nostro blog.
Per capire bene questi due versi (26, 27) non c'è bisogno di analizzare parola per parola, oppure ideare chissà interpretazione filo-teologica: basta individuare un termine e carpirne l'etimologia. Capendo in sostanza anche l'intero contenuto della "Tanàkh". Questo termine è l'"immagine" che in ebraico è scritto e si dice "Tselèm".
Che cosa vuol dire "Tselèm" in ebraico? Ebbene, significa letteralmente "ciò che contiene l'immagine". Dunque gli "Elohìm", che in questo caso si manifestano ufficialmente per la prima volta come gruppo, in quanto sono loro stessi a parlare al plurale dicendo "Facciamo", "danno forma" all'uomo attraverso quel qualcosa che appartiene a loro e che "contiene la loro immagine".
Come si chiama al giorno d'oggi quella cosa che contiene "l'immagine", quindi il fenotipo, di un essere vivente? DNA.
Termina in questo modo l'analisi del primo capitolo della Bibbia. Purtroppo, per mancanza di tempo, in questa puntata mi fermo qui non potendo così vedere, come avevo promesso alla fine del secondo episodio, la storia del giardino che fu posto in Eden. Analisi che farò comunque a partire dal prossimo episodio.
Facciamo dunque un riassunto di quanto realizzato in queste prime 3 puntate: abbiamo osservato come gli "Elohìm" abbiano creato due cieli e la materia, mentre l'oggetto di loro proprietà che produce vento fluttuava sulle acque. Quindi, essendo tutto avvolto nella tenebra, gli "Elohìm" crearono la luce per distinguere il giorno dalla notte (che è la tenebra stessa). Solo dopo aver fatto questo separarono due masse d'acqua per mezzo di una struttura che potrebbe essere una sorta di diga. Quindi, fecero il Sole, la Luna e le stelle: da questo si comprende come la luce precedente che servì per illuminare la tenebra, o la luce stessa degli astri, oppure addirittura entrambe le "luci" (la luce del secondo giorno e quella sottintesa degli astri, che pare avere, quest'ultima, una funzione più organizzatrice che "formatrice" o matrice di luce) siano di origine artificiale. Abbiamo inoltre notato che gli animali creati dagli "Elohìm" non furono i primi ad essere stati creati, in quanto non possono nascere animali già "domestici". E, dulcis in fundo, che gli "Elohìm" crearono l'uomo utilizzando il loro DNA. Alla prossima!
Biologia, Ep.1 - L'"antico" celacanto
500 milioni di anni fa si svilupparono nei mari i primi animali vertebrati. 120 milioni di anni dopo, quindi 380 milioni di anni fa circa, questi, iniziarono a uscire dall'acqua sviluppandosi sulla terra ferma e divenendo più avanti anfibi, rettili e dunque mammiferi. Non tutti però seguirono questa via, infatti, alcune specie di animali rimasero ad abitare i mari nonostante fossero dei vertebrati: fra questi, vi furono i celacanti.
Questo pesce della famiglia dei Latimeriidi dotato di primitivi polmoni, era considerato estinto dal primo Cretaceo superiore (ovvero dal cosiddetto "Cenomaniano", un periodo che va dai 99.6 ai 93.5 milioni di anni fa). Fino a quando nel 1938 non ne venne trovato un esemplare, rimasto intrappolato nelle reti di un pescatore sudafricano. Fu una scoperta alquanto sorprendente per la comunità scientifica, che da quel momento iniziò a scandagliare i fondali per ampliare lo studio dell'anatomia del celacanto.
Ad oggi, dopo quasi un secolo di studi, si è potuto capire che i celacanti del nostro tempo sono leggermente diversi dai loro antichi progenitori. Ciononostante la similitudine fra questi pesci e i fossili ritrovati è sorprendente a tal punto che i celacanti possono essere considerati dei veri e propri "fossili viventi".
I celacanti adulti sono pesci di dimensioni medio-grandi, possiedono come scritto dei polmoni primitivi (che nel caso degli attuali esemplari sono logicamente atrofizzati), hanno due grosse pinne ossute e carnose. Nella zona anteriore del cranio possiedono un organo rastrale, ossia un apparato percettivo che funge da equilibratore e serve all'animale per individuare la preda, in quanto questi animali sono pressoché ciechi. In conclusione; i celacanti hanno colori che variano dal marrone scuro, al blu, con intermezzi di grigio. Nuotano a circa 120 m di profondità, vivono in media 100 anni e sono pesci dal carattere solitario e abbastanza mansueto.
Questo pesce della famiglia dei Latimeriidi dotato di primitivi polmoni, era considerato estinto dal primo Cretaceo superiore (ovvero dal cosiddetto "Cenomaniano", un periodo che va dai 99.6 ai 93.5 milioni di anni fa). Fino a quando nel 1938 non ne venne trovato un esemplare, rimasto intrappolato nelle reti di un pescatore sudafricano. Fu una scoperta alquanto sorprendente per la comunità scientifica, che da quel momento iniziò a scandagliare i fondali per ampliare lo studio dell'anatomia del celacanto.
Ad oggi, dopo quasi un secolo di studi, si è potuto capire che i celacanti del nostro tempo sono leggermente diversi dai loro antichi progenitori. Ciononostante la similitudine fra questi pesci e i fossili ritrovati è sorprendente a tal punto che i celacanti possono essere considerati dei veri e propri "fossili viventi".
I celacanti adulti sono pesci di dimensioni medio-grandi, possiedono come scritto dei polmoni primitivi (che nel caso degli attuali esemplari sono logicamente atrofizzati), hanno due grosse pinne ossute e carnose. Nella zona anteriore del cranio possiedono un organo rastrale, ossia un apparato percettivo che funge da equilibratore e serve all'animale per individuare la preda, in quanto questi animali sono pressoché ciechi. In conclusione; i celacanti hanno colori che variano dal marrone scuro, al blu, con intermezzi di grigio. Nuotano a circa 120 m di profondità, vivono in media 100 anni e sono pesci dal carattere solitario e abbastanza mansueto.
giovedì 19 febbraio 2015
Cultura: la vegetazione dell'isola di Suqutra
L'isola di Suqutra (Socotra in italiano) è la maggiore fra quattro isole di un arcipelago dell'Oceano Indiano situato al largo delle coste del Corno d'Africa a circa 350 km in linea d'aria dallo Yemen, stato del quale fanno parte.
Il capoluogo è la città di Hadibu, situata nella parte nord, che è in sostanza l'unico grande agglomerato urbano. Suqutra è in maggioranza di cultura araba, ma vi si trovano anche alcune minoranze indiane e africane. Si parlano dunque prevalente due lingue: l'arabo, che è quella ufficiale, e il soqotri, il dialetto dell'Isola.
Oltre all'aspetto sociale e antropologico, però, l'Isola è caratteristica per la sua flora, unica al mondo. Ciò è da attribuire a tempi molto remoti, infatti, a partire dal Cenozoico (iniziato fra i 65 e il 0,2 milioni di anni fa e tutt'ora in corso in quanto considerabile "era della vita"), rimase isolata dagli ancora non delineati continenti africano e indiano, potendo svilupparsi in modo libero, unico e incontaminato.
Sull'isola di Socotra si sono catalogate 825 specie di piante e quasi il 40 % di queste sono uniche al mondo. Le più tipiche e conosciute sono due: la Dracena drago "di Socotra" (Dracaena cinnabari); che è una "pianta succulenta", quindi grassa, simile al comune pino mediterraneo, sia per la struttura del tronco che per le foglie. A differenza del pino, però, non cresce molto. Infatti questi esemplari raggiungono sempre i 5 m massimi di altezza. Va inoltre scritto che per la gente del posto queste piante sono forse le più importanti di tutto l'ecosistema isolano, in quanto fin dall'antichità, s'iniziò a estrarre dal tronco di queste una resina rossa chiamata per via del colore "sangue del drago", dalla quale si ricavavano pozioni, medicine, incensi profumati e liquidi per colorare i vestiti e i muri delle abitazioni.
L'altra pianta molto singolare è il cosiddetto Albero del cetriolo (Dendrosicyos socotranus). Il nome della è dato dalla famiglia della quale questa pianta è l'unica specie sul Pianeta: le Cucurbitacae, la grande famiglia della quale fanno parte ad esempio le zucche, le zucchine, i cocomeri e appunto anche i cetrioli. L'albero, ha il tronco corto e tozzo, mentre le foglie sono abbastanza piccole. La forma ricorda in un certo senso quella di un grosso broccolo.
Oltre a queste due, ne vanno segnalate alcune altre, di minore importanza curiosale ma di altrettanto rilievo scientifico e biologico. Queste sono: l'aloe socotrina (Aloe perryi ); una grossa pianta grassa e spinosa che produce dei fiori slanciati e rossi ricchi di zuccheri. Il melograno di Socotra (Punica protopunica), che produce i normali frutti rosei come tutti i melograni ma che ha un tronco molto più gonfio e massiccio rispetto agli simili presenti nel resto del mondo, e la Boswellia socotrana: albero che non supera i tre metri, possiede un tronco sottile, mentre i rami sono spessi, almeno quanto il tronco. Da questo si estrae (come in molte boswellie) un particolare incenso verdognolo molto apprezzato dalla popolazione locale.
- La Dracena drago.
- L'"albero del cetriolo".
-L'aloe socotrina.
-Il melograno di Socotra.
-La Boswellia socotrana.
19 febbraio, accadeva oggi...
1674: Inghilterra e Paesi Bassi si conciliano sancendo la pace di Westminster. La colonia di Nuova Amsterdam (Nieuw Amsterdam) passa così agli inglesi che la ribattezzano New York.
1797: Napoleone, all'ora semplice comandante dell'Armata italiana, e papa Pio VI firmano a Tolentino, nelle Marche, un accordo diplomatico.
1846: Viene istituito il primo governo del Texas.
1861: In Russia viene abolita la servitù della gleba.
1878: Viene brevettato da Thomas Edison (1847-1931) il primo fonografo.
1945: Inizia la battaglia di Iwo Jima fra giapponesi e statunitensi.
1959: Cipro ottiene l'indipendenza dal Regno Unito.
1985: Viene rilasciato William J. Schroeder, il primo paziente dotato di cuore artificiale. Morirà l'anno dopo (1986).
1986: Gli Stati Uniti dichiarano costituzionalmente illegale il genocidio.
2002: Lo sonda spaziale della NASA 2001 Mars Odyssey traccia la prima mappa della superficie di Marte.
2008: Fidel Castro annuncia pubblicamente il suo ritiro da ogni carica presidenziale di Cuba.
1797: Napoleone, all'ora semplice comandante dell'Armata italiana, e papa Pio VI firmano a Tolentino, nelle Marche, un accordo diplomatico.
1846: Viene istituito il primo governo del Texas.
1861: In Russia viene abolita la servitù della gleba.
1878: Viene brevettato da Thomas Edison (1847-1931) il primo fonografo.
1945: Inizia la battaglia di Iwo Jima fra giapponesi e statunitensi.
1959: Cipro ottiene l'indipendenza dal Regno Unito.
1985: Viene rilasciato William J. Schroeder, il primo paziente dotato di cuore artificiale. Morirà l'anno dopo (1986).
1986: Gli Stati Uniti dichiarano costituzionalmente illegale il genocidio.
2002: Lo sonda spaziale della NASA 2001 Mars Odyssey traccia la prima mappa della superficie di Marte.
2008: Fidel Castro annuncia pubblicamente il suo ritiro da ogni carica presidenziale di Cuba.
mercoledì 18 febbraio 2015
Storia della Filosofia occidentale, Ep. 2 - Ptah il dio ingegnere egizio della conoscenza
Procede la rubrica sullo studio della storia del pensiero occidentale. Nella scorsa puntata, la prima, abbiamo visto gli insegnamenti del dio An (va precisato come per alcuni si tratti del dio Ilat, chiamato anche "Ili-Ilat", ma come già scritto, il nome poco importa), riguardo la struttura della materia, del Sistema Solare, e forse, come vedremo, delle coscienze dell'uomo stesso (mente, spirito e anima).
Quest'oggi proseguiamo col pensiero e gli insegnamenti di un altro personaggio molto sapiente rispetto all'epoca. Un personaggio che visse grossomodo nello stesso periodo di An, ma anziché in Mesopotamia lo fece in Egitto: sto parlando di Ptah, il dio Egizio della Creazione, della sapienza e della conoscenza, nonché il "demiurgo" della città di Memphis (o Menfi), situata nel nord del Paese. Ho messo "demiurgo" fra parentesi in quanto la concezione attuale che abbiamo del demiurgo, ovvero quella del "lavoratore e ordinatore delle cose e degli spazi" è platonica, quindi Greca. Per gli Egizi, invece, l' "ordinatore" aveva una funzione ben più pratica e terrena; in sostanza, infatti Ptah, quando fu in vita, era il comandante di Melfi e delle zone limitrofe alla città.
La storia e il mito della formazione di Ptah sono mediamente lunghi, perciò li salto, ma non per altro motivo se non per il fatto che li tratterò in futuro, quando parlerò più approfonditamente della cultura Egizia. Oggi quindi mi focalizzo solo sula figura di Ptah. Egli, come detto era il dio della Creazione e della sapienza, ma pure ingegnere, fabbro, artista e muratore. Come nel caso di An, faceva parte di una trinità assieme a Shekèr "Sokar", la dea falco di Menfi, e Ashàr "Osiride", dio della morte e dell'oltretomba, protagonista del bellissimo mito vissuto assieme alla consorte Ashèt "Iside". Ma a differenza di Anum, tale tripartizione venne fatta molto più tardi rispetto all'inizio del culto, che viene documentato fin dai primi momenti della nascita della città di Menfi, attorno al 2700 a.C, quindi sempre e comunque nel III millennio.
Sempre secondo la tradizione, Ptah ebbe due mogli: la dea Bashtìt, raffigurata con sembianze gattesche e Sekhmèt, anch'essa una dea, dalla quale ebbe alcuni figli; i più famosi furono Nefertém, un'altra divinità del pantheon di Memphis, e Imhotèp, che fu architetto, visìr, scriba e sacerdote durante il Regno di Netjerykhèt "Djoser", durante la III dinastia (2700 circa-2620 a.C, quindi durata più o meno ottanta anni). A Imhopèt vengono attribuite opere di importante valore come la progettazione del complesso piramidale di Saqqara e l'introduzione della medicina in Egitto. Proprio per questo i Greci le "prenderanno" per "metterlo" nel loro Olimpo degli dei nel quale prenderà il nome di Asclèpio.
Ma concludiamo tornando a Ptah: com'è raffigurato? Egli è quasi sempre raffigurato di profilo, A volte è mummificato, altre no. Posto sopra a un piedistallo, indossa una tunica bianca che copre gli i piedi e che giunge fino al collo. Quindi ha un copricapo blu ciano (a volte bianco come la tunica), il quale fa da contrasto al verde scuro della sua pelle. Infine, nelle raffigurazioni "formali", possiede l'uàs, lo scettro del faraone. Questo è il geroglifico che lo rappresenta, sono tre pittogrammi; un quadrato a sinistra sotto al quale si trova una sorta di cupola. A destra, invece, c'è n'è uno solo ed è un filamento, oppure un cordino che si avvolge su se stesso per tre volte. Molto simile alla struttura a doppia elica del DNA.
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18 febbraio, nasce Alessandro Volta
Alessandro Volta nasce il 18 febbraio del 1745 a Como. Ivi sempre morirà, il 5 marzo 1827. Fu un importante fisico, nonché l'inventore ufficiale della prima pila e lo scopritore del gas metano.
La sua famiglia è nobile e suo padre muore poco dopo la sua nascita. Passa dunque sotto la sorveglianza e la cura dello zio paterno che lo spinge a intraprendere una carriera giuridica, ma Volta, invece, fin dall'inizio è attratto e affascinato dalla scienza, in particolare dai fenomeni elettromagnetici (e dall'effetto che questi hanno sui corpi). A questo proposito nel 1769, a 25 anni, scrive il "De vi attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus", una serie di lettere che mettono in dubbio le tesi elaborate da alcuni personaggi sul fenomeno elettrico, a suo dire, troppo teoriche e troppo poco studiate. L'opera epistolare è in particolar modo diretta a Cesare Beccaria (1738-1794), celebre intellettuale milanese dell'epoca.
Questa critica era il frutto di un lavoro precedente iniziato intorno al 1765, nel quale aveva iniziato a studiare e sperimentare assieme al collega Giulio Cesare Gettoni. Dopo dieci anni di studi ed esperimenti su piccola e media scala, i due inventano l'elettrografo (1775); un aggeggio che permette di accumulare una piccola quantità di energia in modo alternato. Nello stesso anno Volta diviene rettore di fisica presso l'università di Como, salvo poi trasferirsi, tre anni dopo (1778), in quella di Pavia.
In questi anni è lui che per la prima volta dà all'energia elettrica il concetto di "capacità" intesa come grandezza fisica scalare, la quale misura canonica è l'elettrometro. Abbandona quindi definitivamente lo studio macroscopico e teorico del fenomeno introducendo grandezze concrete che egli denomina "carica" e "tensione" oltre alla già citata "capacità".
Il decennio successivo, anche e soprattutto grazie al nuovo metodo, è ricco di scoperte e intuizioni: come la celebre relazione (Q=CV), dove "Q" sta alla carica elettrica di un corpo condensatore, "C" alla sua capacità, mentre "V" è la tensione. Quindi; la carica elettrica di un corpo condensatore e pari alla somma della sua capacità e della sua tensione. Ciò fu dimostrabile con la contemporanea realizzazione dell'elettroscopio condensatore e della bilancia elettrometrica. Strumenti sempre da lui attuati.
A questo proposito inizia a condividere le sue scoperte con i maggiori esponenti dell'epoca; gira l'Europa: va in Francia, Olanda, Belgio e Inghilterra, diventando famoso nell'ambiente. Parlando con questi suoi colleghi, inizia a interessarsi anche allo studio della fisica dei gas. Nel (1776) un suo vecchio maestro lo informa di aver scoperto un gas infiammabile sprigionato dal terreno, al che, Alessandro incomincia a studiare questo curioso fenomeno andando in varie paludi e proprio per questo, una volta vistolo e studiatolo, lo chiama "aria infiammabile nativa delle paludi", oggi conosciuto semplicemente come metano.
Da questi studi nasce un'altra importante invenzione che è quella della pistola elettroflogopneumatica (conosciuta come la "pistola di Volta"). Questo oggetto permette grazie a due elettrodi un'accensione elettrica in ambiente chiuso, che poco dopo, lo scienziato comasco, trasforma in un eudiometro canonico e universale per le analisi chimiche. Oltre alla pistola idea la così chiamata "lampada perpetua", una sorta di archetipo della lampada a metano.
Attorno al 1789, a 44 anni, ritorna ufficialmente agli studi sull'elettronica approfondendo certe tematiche fino a prima rimaste alquanto ambigue, come ad esempio, quella sulla quantità necessaria alla dilatazione delle isobare dell'aria. Oltre a questo, per studiare a trecentosessanta gradi il fenomeno, si occupa di studiare la densità e la tensione dei vapori, in particolar modo del vapore acqueo.
Nel 1799 dà per la prima volta pubblicamente sfoggio di quella che diverrà la sua più grande e conosciuta invenzione, se non altro per l'utilità che apporterà alle masse: la pila. Tutto iniziò analizzando e prendendo spunto dagli studi di un altro fisico, nonché anatomista; Luigi Galvini (1737-1798), il quale studiava i cadaveri delle rane, nei quali, vide che se con un arco di metallo vengono toccati i fasci lombari e con un altro i muscoli di una gamba, la rana, cadavere, guizza e ed è scossa da violente convulsioni. Ciò è dovuto dal fatto che i due archi siano di due metalli differenti, e or dunque, interagiscono fra loro creando e disperdendo energia. Da qui nasce l'invenzione della pila.
Va sottolineato come Volta non ruba la teoria a Galvini, in quanto Galvini ipotizza che l'elettricità ricavata è generata dell'interazione fra i due archi e l'energia elettrica dell'animale, e non, come dimostrato, dalla diversa qualità del metallo dell'arco. Che oggi conosciamo appunto nella pila come forza (+) e forza (-).
Nei venti anni successivi, Volta divenne famoso un po' dappertutto venendo riconosciuto delle più importanti cariche politiche e istituzionali del periodo: nel 1801, Napoleone gli assegna la medaglia d'oro e lo invita a partecipare alla Consulta di Lione che si svolge l'anno successivo. Nel 1805, sempre Napoleone lo pensiona e lo fa dunque senatore al Regno d'Italia (1809). Per non farsi mancare nulla, sempre Bonaparte, pochi anni più tardi, nel (1814), lo fa conte.
Negli anni che seguono alla morte, le invenzioni si perdono un po' tra l'oro e il fregio accumulato, ma, ciononostante pubblica una serie di tomi che in sostanza spiegano e in parte sintetizzano tutti i suoi studi con relative scoperte e invenzioni. Nel (1816) ne pubblica cinque, che vengono redatti nuovamente in sette volumi che escono fra il 1818 e il 1829. Alcuni sono postumi, infatti:
Alessandro Volta muore sempre a Como, città nella quale era nato e cresciuto, ed era tornato a vivere a partire dall'inizio degli anni '20, il 5 marzo del 1827, all'età di 82 anni.
La sua famiglia è nobile e suo padre muore poco dopo la sua nascita. Passa dunque sotto la sorveglianza e la cura dello zio paterno che lo spinge a intraprendere una carriera giuridica, ma Volta, invece, fin dall'inizio è attratto e affascinato dalla scienza, in particolare dai fenomeni elettromagnetici (e dall'effetto che questi hanno sui corpi). A questo proposito nel 1769, a 25 anni, scrive il "De vi attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus", una serie di lettere che mettono in dubbio le tesi elaborate da alcuni personaggi sul fenomeno elettrico, a suo dire, troppo teoriche e troppo poco studiate. L'opera epistolare è in particolar modo diretta a Cesare Beccaria (1738-1794), celebre intellettuale milanese dell'epoca.
Questa critica era il frutto di un lavoro precedente iniziato intorno al 1765, nel quale aveva iniziato a studiare e sperimentare assieme al collega Giulio Cesare Gettoni. Dopo dieci anni di studi ed esperimenti su piccola e media scala, i due inventano l'elettrografo (1775); un aggeggio che permette di accumulare una piccola quantità di energia in modo alternato. Nello stesso anno Volta diviene rettore di fisica presso l'università di Como, salvo poi trasferirsi, tre anni dopo (1778), in quella di Pavia.
In questi anni è lui che per la prima volta dà all'energia elettrica il concetto di "capacità" intesa come grandezza fisica scalare, la quale misura canonica è l'elettrometro. Abbandona quindi definitivamente lo studio macroscopico e teorico del fenomeno introducendo grandezze concrete che egli denomina "carica" e "tensione" oltre alla già citata "capacità".
Il decennio successivo, anche e soprattutto grazie al nuovo metodo, è ricco di scoperte e intuizioni: come la celebre relazione (Q=CV), dove "Q" sta alla carica elettrica di un corpo condensatore, "C" alla sua capacità, mentre "V" è la tensione. Quindi; la carica elettrica di un corpo condensatore e pari alla somma della sua capacità e della sua tensione. Ciò fu dimostrabile con la contemporanea realizzazione dell'elettroscopio condensatore e della bilancia elettrometrica. Strumenti sempre da lui attuati.
A questo proposito inizia a condividere le sue scoperte con i maggiori esponenti dell'epoca; gira l'Europa: va in Francia, Olanda, Belgio e Inghilterra, diventando famoso nell'ambiente. Parlando con questi suoi colleghi, inizia a interessarsi anche allo studio della fisica dei gas. Nel (1776) un suo vecchio maestro lo informa di aver scoperto un gas infiammabile sprigionato dal terreno, al che, Alessandro incomincia a studiare questo curioso fenomeno andando in varie paludi e proprio per questo, una volta vistolo e studiatolo, lo chiama "aria infiammabile nativa delle paludi", oggi conosciuto semplicemente come metano.
Da questi studi nasce un'altra importante invenzione che è quella della pistola elettroflogopneumatica (conosciuta come la "pistola di Volta"). Questo oggetto permette grazie a due elettrodi un'accensione elettrica in ambiente chiuso, che poco dopo, lo scienziato comasco, trasforma in un eudiometro canonico e universale per le analisi chimiche. Oltre alla pistola idea la così chiamata "lampada perpetua", una sorta di archetipo della lampada a metano.
Attorno al 1789, a 44 anni, ritorna ufficialmente agli studi sull'elettronica approfondendo certe tematiche fino a prima rimaste alquanto ambigue, come ad esempio, quella sulla quantità necessaria alla dilatazione delle isobare dell'aria. Oltre a questo, per studiare a trecentosessanta gradi il fenomeno, si occupa di studiare la densità e la tensione dei vapori, in particolar modo del vapore acqueo.
Nel 1799 dà per la prima volta pubblicamente sfoggio di quella che diverrà la sua più grande e conosciuta invenzione, se non altro per l'utilità che apporterà alle masse: la pila. Tutto iniziò analizzando e prendendo spunto dagli studi di un altro fisico, nonché anatomista; Luigi Galvini (1737-1798), il quale studiava i cadaveri delle rane, nei quali, vide che se con un arco di metallo vengono toccati i fasci lombari e con un altro i muscoli di una gamba, la rana, cadavere, guizza e ed è scossa da violente convulsioni. Ciò è dovuto dal fatto che i due archi siano di due metalli differenti, e or dunque, interagiscono fra loro creando e disperdendo energia. Da qui nasce l'invenzione della pila.
Va sottolineato come Volta non ruba la teoria a Galvini, in quanto Galvini ipotizza che l'elettricità ricavata è generata dell'interazione fra i due archi e l'energia elettrica dell'animale, e non, come dimostrato, dalla diversa qualità del metallo dell'arco. Che oggi conosciamo appunto nella pila come forza (+) e forza (-).
Nei venti anni successivi, Volta divenne famoso un po' dappertutto venendo riconosciuto delle più importanti cariche politiche e istituzionali del periodo: nel 1801, Napoleone gli assegna la medaglia d'oro e lo invita a partecipare alla Consulta di Lione che si svolge l'anno successivo. Nel 1805, sempre Napoleone lo pensiona e lo fa dunque senatore al Regno d'Italia (1809). Per non farsi mancare nulla, sempre Bonaparte, pochi anni più tardi, nel (1814), lo fa conte.
Negli anni che seguono alla morte, le invenzioni si perdono un po' tra l'oro e il fregio accumulato, ma, ciononostante pubblica una serie di tomi che in sostanza spiegano e in parte sintetizzano tutti i suoi studi con relative scoperte e invenzioni. Nel (1816) ne pubblica cinque, che vengono redatti nuovamente in sette volumi che escono fra il 1818 e il 1829. Alcuni sono postumi, infatti:
Alessandro Volta muore sempre a Como, città nella quale era nato e cresciuto, ed era tornato a vivere a partire dall'inizio degli anni '20, il 5 marzo del 1827, all'età di 82 anni.
lunedì 16 febbraio 2015
Astronomia, Ep.2 - Il Sole
Il Sole, come tutti ben sanno, e come anche scritto nell'episodio precedente che ha aperto questa rubrica astronomica, è la stella attorno alla quale forza gravitazionale orbitano tutti i corpi celesti del Sistema. Essa è posizionata in una zona intermedia della Galassia denominata Braccio di Orione. Per la precisione all'interno dalla cosiddetta Bolla locale (nella quale vi si trova un'altra stella, Beta Canis Majoris; così chiamata poiché vista dalla Terra fa parte della costellazione del Cane Maggiore. E' anche conosciuta come Mirzam.), che a sua volta è racchiusa nella Cintura di Gould; un anello galattico che si estende per circa 3000 anni luce e che comprende molte stelle di classe O e B (analizzerò meglio la classificazione spettrale degli astri in futuro), ovvero, stelle "blu" oppure "azzurre".
Il Sole è composto per la maggior parte da idrogeno (74% della massa, circa) che bruciando viene convertito in elio (25 % della massa, circa). Questo processo genera energia che si propaga nello spazio sotto forma di vento solare, radiazioni e neutrini, che, come suggerisce il nome sono piccole particelle subatomiche a carica elettrica nulla.
Tutto ciò accade nel nucleo della stella. Quindi questa energia viene trasportata dai fotoni nella zona radiativa (distante da un estremo all'altro circa 350.000 km). In questa regione solo i neutrini possono viaggiare alla normale velocità della luce, "il resto" può impiegare centinaia di migliaia di anni per giungere prima in una zona di transito denominata techocline, quindi alla successiva regione periferica, chiamata zona convettiva. Nella quale l'energia termica viene spedita all'infuori del corpo celeste dando forma a un altra zona chiamata fotosfera. Qui, la temperatura è all'incirca di 8000 gradi centigradi. Sempre nella fotosfera ci sono alcune zone scure chiamate "macchie solari" che sono più fredde, in queste zone la temperatura oscilla quasi sempre fra i 4000 e i 4300 gradi centigradi.
Oltre la fotosfera si trova l'atmosfera; atmosfera che è divisa in tre zone: la cromosfera, che in sostanza è una sottile porzione trasparente visibile durante le eclissi totali lunga circa 2000 chilometri. Segue la zona di transizione, nella quale la temperatura è maggiore rispetto alla cromosfera, dunque è qua che l'elio raggiunge la ionizzazione, e infine la corona solare, una regione tenue che si estende nello spazio approssimativamente per 10 milioni di chilometri. Sono caratteristici di questa zona i celebri e "artistici" anelli coronali che possono estendersi per svariate migliaia di chilometri.
Oltre la corona, l'energia e le particelle si estendono nel Sistema Solare anche sotto forma di vento solare che soffia nelle zone interne ed esterne, Questa grande regione è chiamata eliosfera; che in sostanza è dove l'energia solare influenza e agisce. Oltre questa, inizia la così chiamata termination shock, ovvero l'area nella quale il vento inizia a rallentare, fino a fermarsi e smettere la sua espansione nell'eliopausa.
Il Sole è composto per la maggior parte da idrogeno (74% della massa, circa) che bruciando viene convertito in elio (25 % della massa, circa). Questo processo genera energia che si propaga nello spazio sotto forma di vento solare, radiazioni e neutrini, che, come suggerisce il nome sono piccole particelle subatomiche a carica elettrica nulla.
Tutto ciò accade nel nucleo della stella. Quindi questa energia viene trasportata dai fotoni nella zona radiativa (distante da un estremo all'altro circa 350.000 km). In questa regione solo i neutrini possono viaggiare alla normale velocità della luce, "il resto" può impiegare centinaia di migliaia di anni per giungere prima in una zona di transito denominata techocline, quindi alla successiva regione periferica, chiamata zona convettiva. Nella quale l'energia termica viene spedita all'infuori del corpo celeste dando forma a un altra zona chiamata fotosfera. Qui, la temperatura è all'incirca di 8000 gradi centigradi. Sempre nella fotosfera ci sono alcune zone scure chiamate "macchie solari" che sono più fredde, in queste zone la temperatura oscilla quasi sempre fra i 4000 e i 4300 gradi centigradi.
Oltre la fotosfera si trova l'atmosfera; atmosfera che è divisa in tre zone: la cromosfera, che in sostanza è una sottile porzione trasparente visibile durante le eclissi totali lunga circa 2000 chilometri. Segue la zona di transizione, nella quale la temperatura è maggiore rispetto alla cromosfera, dunque è qua che l'elio raggiunge la ionizzazione, e infine la corona solare, una regione tenue che si estende nello spazio approssimativamente per 10 milioni di chilometri. Sono caratteristici di questa zona i celebri e "artistici" anelli coronali che possono estendersi per svariate migliaia di chilometri.
Oltre la corona, l'energia e le particelle si estendono nel Sistema Solare anche sotto forma di vento solare che soffia nelle zone interne ed esterne, Questa grande regione è chiamata eliosfera; che in sostanza è dove l'energia solare influenza e agisce. Oltre questa, inizia la così chiamata termination shock, ovvero l'area nella quale il vento inizia a rallentare, fino a fermarsi e smettere la sua espansione nell'eliopausa.
sabato 14 febbraio 2015
14 febbraio, chi era san Valentino da Terni
Valentino da Terni fu un vescovo romano vissuto tra il II e il III secolo d.C. Nato da una prestigiosa famiglia patrizia di Terni, venne convertito al cristianesimo e a soli 21 anni divenne il vescovo della città.
Molti anni più tardi Valentino si trovava a Roma nelle vesti di esegeta e predicatore. A quel tempo regnava l'Imperatore Claudio II detto "il Gotico", il quale ordinò al clericale di cessare la sua attività. Egli però continuò il suo lavoro per anni, finché durante il successivo impero di Aureliano, personaggio ben più bellico e meno tollerante di Claudio: venne arrestato, portato in un luogo appartato lontano dalla città per evitare le possibili insurrezioni dei suoi seguaci, e quindi decapitato. Era il 14 febbraio del 273. Aveva 97 anni.
Negli anni futuri, con l'avvento del cristianesimo nel mondo romano, venne santificato e al giorno d'oggi è considerato dalla Chiesa cattolica, ortodossa e anglicana il patrono degli innamorati e il protettore degli epilettici.
Molti anni più tardi Valentino si trovava a Roma nelle vesti di esegeta e predicatore. A quel tempo regnava l'Imperatore Claudio II detto "il Gotico", il quale ordinò al clericale di cessare la sua attività. Egli però continuò il suo lavoro per anni, finché durante il successivo impero di Aureliano, personaggio ben più bellico e meno tollerante di Claudio: venne arrestato, portato in un luogo appartato lontano dalla città per evitare le possibili insurrezioni dei suoi seguaci, e quindi decapitato. Era il 14 febbraio del 273. Aveva 97 anni.
Negli anni futuri, con l'avvento del cristianesimo nel mondo romano, venne santificato e al giorno d'oggi è considerato dalla Chiesa cattolica, ortodossa e anglicana il patrono degli innamorati e il protettore degli epilettici.
venerdì 13 febbraio 2015
Studio letterale della Bibbia, Ep.2 - La Genesi (v.3-8)
Ben ritrovato con l'appuntamento episodico sullo "studio" letterale dell'Antico Testamento. La scorsa volta ho incominciato l'analisi dei primi due versi presenti nella Genesi, come lavoro introduttivo susseguente al prologo. Abbiamo visto come il "Principio" non sia l'inizio di tutto, bensì un momento distinto. Abbiamo visto come il termine "Dio" sia scritto al plurale "Elohìm", invece il verbo "Barà", "formò" è al singolare. Non ho forse ben spiegato a cosa si riferissero l'"Abisso" ("Dehòm"), anche se si potrebbe scrivere meglio ("Tehòm") in quanto si rifà direttamente al sumero ("Tiamàt"), quindi la "Tenebra" ("Hoshech") e i "Cieli" ("Shamayim") giacché essendo pressoché tutto il racconto della Genesi la reinterpretazione ebraica del mito Sumero del "Atra Hasis" (Il Sommamente Saggio), molte delucidazioni e migliori approfondimenti verranno fatti quando tratterò tale testo. Anche se nel corso delle puntate di questa rubrica si potrà, quindi già a partire da oggi, secondo il mio modesto avviso, capire molto. Abbiamo infine visto come lo "Spirito" ("Ruàch") non sia un'essenza astratta e trascendente di "Iddio", ma un oggetto, o comunque una realtà fisica che appartiene a "Elohìm". E che tale oggetto "fluttuava", "aleggiava", oppure "levitava" ("Merahefet") sopra le acque.
Quest'oggi, invece, tratterò i versi che vanno dal 3 all'8. Dunque, i versi del "Primo" e del "Secondo" giorno. Iniziamo:
I versetti 3, 4, e 5 sono il racconto del "Primo giorno". E recitano testualmente:
< (3) Iddio disse: vi sia luce! e luce fu. (4) Vide Iddio che la luce era buona e separò Iddio la luce dalle tenebre; (5) e Iddio chiamò la luce "Giorno" e la tenebra "Notte". Così fu sera, poi fu mattina: primo giorno>
Nella Bibbia scritta in ebraico dai mesoreti c'è scritto foneticamente: < (3) Va'yomer Elohìm: vì'hìy hor! vai'hiy hor. (4) Va'yar Elohìm et ha'hor hitòv va'javdél Elohìm ve'en ha'hor uvéin ha hoshech; (5) Vai'crà Elohìm la'hor'yòm ve'la hoshech ha'ra laylà vai' hi herev vai'hi vohyer: jòm echàd. >
"Yomer" è la voce del verbo "dire" al passato remoto singolare, quindi "Disse". E' accompagnato dalla congiunzione "Va" che ha sempre la valenza dell'"e" italiano, dunque, "E disse".
"Elohìm" come scritto non si può tradurre con "Dio", innanzitutto perché è plurale, dunque sarebbe "Dei", ma lo stesso concetto che si ha ora di "Dio" non esisteva presso le antiche popolazioni del Medio Oriente di quei secoli. Quindi non traduciamo.
"Vi'hiy" significa "Vi sia" ed è riferito a:
"Hor"che vuol dire "Luce", quindi "Vi sia luce". (Non c'è l'articolo femminile a precedere la parola "luce".)
"Vai'hiy" è pressoché identico al precedente "vi'hiy" e vuol dire "vi fu". Ciò è riferito alla luce che appunto "vi fu" per volontà di Elohìm.
I versi 4 e 5 non li analizziamo in quanto, come del resto in quello trattato ora, non vi è nulla di sbagliato nella traduzione etimologica. Quindi l'analisi del (3) è più che altro una dimostrazione sulla genuinità dei contenuti pervenuti a noi. Se vorrai, approfondirai per conto tuo, Anche perché riportare e tradurre parola per parola diviene un lavoro a mio avviso troppo dispersivo e per te pure noioso.
Sul "Secondo giorno" quindi i successivi versi 6, 7 ed 8; si scrive:
< (6) Iddio disse ancora: vi sia fra le acque un firmamento, il quale separi le acque dalle acque. (7) E Iddio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto al firmamento, da quelle che sono al di sopra. E così fu. (8) E Iddio chiamò il firmamento "Cielo". Di nuovo fu sera, poi fu mattina: secondo giorno. >
Dunque, l'iniziale sensazione che si ha leggendo queste righe è quella di non averci capito un granché. A cosa si riferiva il redattore dal testo quando scrisse che Elohìm fece il firmamento ed esso, chiamato "Cielo", separò le acque dalle acque? Cosa sono queste due acque?
Le risposte che posso dare sono due; una potrebbe essere valida, l'altra no. Come del resto entrambe possono essere giuste o sbagliate.
Per la prima, bisogna considerare "Dio" come Assoluto. In questo caso lo scritto non sarebbe altro che la rielaborazione del mito Sumero "Enuma Elish" (Quando là in alto). Il quale, narra come la Terra (Kì) sia nata dalla collisione tra il pianeta Nibìru, che era il pianeta delle divinità Sumere, e il pianeta Tiamàt, un antico corpo celeste del Sistema Solare che secondo alcuni studi sarebbe ciò che resta dell'attuale Grande fascia degli asteroidi compresa grossomodo fra Marte e Giove. Questa tremenda collisione portò dunque alla "formazione" della Terra e le "due acque" separate dal firmamento, quindi dalle stelle, sarebbero le acque una volta "unite" che ora sono presenti sui due corpi celesti: Nibìru e Kì (la Terra) che sarebbe, sempre secondo gli antichi racconti di questi popoli, un frammento staccatosi da Nibìru.
La seconda ipotesi è quella di considerare gli "Elohìm" esseri in carne e ossa, che separarono, millenni dopo il compimento del Pianeta, due masse d'acqua. Bisogna osservare che, come vedremo in seguito, il luogo descritto, se letto senza filtri, pare essere un ambiente artificiale creato da "Elohìm" per poi porre l'uomo in Eden e infine cacciarlo da esso facendolo vivere sulla Terra. Come scritto infatti nella "creazione del mondo", "lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque", ma precedentemente non vi è scritto che "Dio" "creò" o "diede forma alle acque". Dunque, le acque esistevano prima del "Bereshìt", del "Principio" e sono perciò gli Elohìm a dividerle in due differenti porzioni. La struttura artificiale che per prima viene in mente se si pensa alla divisione di masse d'acqua è quella di una diga. Allorché è plausibile, secondo un supporto di studi, che gli Elohìm crearono una grande diga che separò le acque: quelle della pianura sotto, e quelle del bacino artificiale sopra. Se visto dal basso, ergo dalla pianura, il firmamento sarebbe risultato più vicino all'acqua della diga in quanto essa non si sarebbe vista, e tale illusione di prospettiva avrebbe fatto credere che il cielo separasse le due acque. Questa ipotesi, per quanto di primo impatto possa sembrarti inventata e assurda, spiega alcuni avvenimenti scritti che seguono nella narrazione; fra tutti, il celeberrimo diluvio universale.
Per quest'oggi l'analisi termina qui, spero di essere stato esauriente. Nel prossimo episodio terminerò lo "studio" del primo capitolo analizzando il celebre verso della creazione dell'uomo (26). Quindi parlerò del giardino che fu posto in Eden, nel quale si ambienta l'altrettanto conosciuta storia del frutto dell'albero della Conoscenza del bene e del male e del serpente che tentò Ishah, "Eva".
Quest'oggi, invece, tratterò i versi che vanno dal 3 all'8. Dunque, i versi del "Primo" e del "Secondo" giorno. Iniziamo:
I versetti 3, 4, e 5 sono il racconto del "Primo giorno". E recitano testualmente:
< (3) Iddio disse: vi sia luce! e luce fu. (4) Vide Iddio che la luce era buona e separò Iddio la luce dalle tenebre; (5) e Iddio chiamò la luce "Giorno" e la tenebra "Notte". Così fu sera, poi fu mattina: primo giorno>
Nella Bibbia scritta in ebraico dai mesoreti c'è scritto foneticamente: < (3) Va'yomer Elohìm: vì'hìy hor! vai'hiy hor. (4) Va'yar Elohìm et ha'hor hitòv va'javdél Elohìm ve'en ha'hor uvéin ha hoshech; (5) Vai'crà Elohìm la'hor'yòm ve'la hoshech ha'ra laylà vai' hi herev vai'hi vohyer: jòm echàd. >
"Yomer" è la voce del verbo "dire" al passato remoto singolare, quindi "Disse". E' accompagnato dalla congiunzione "Va" che ha sempre la valenza dell'"e" italiano, dunque, "E disse".
"Elohìm" come scritto non si può tradurre con "Dio", innanzitutto perché è plurale, dunque sarebbe "Dei", ma lo stesso concetto che si ha ora di "Dio" non esisteva presso le antiche popolazioni del Medio Oriente di quei secoli. Quindi non traduciamo.
"Vi'hiy" significa "Vi sia" ed è riferito a:
"Hor"che vuol dire "Luce", quindi "Vi sia luce". (Non c'è l'articolo femminile a precedere la parola "luce".)
"Vai'hiy" è pressoché identico al precedente "vi'hiy" e vuol dire "vi fu". Ciò è riferito alla luce che appunto "vi fu" per volontà di Elohìm.
I versi 4 e 5 non li analizziamo in quanto, come del resto in quello trattato ora, non vi è nulla di sbagliato nella traduzione etimologica. Quindi l'analisi del (3) è più che altro una dimostrazione sulla genuinità dei contenuti pervenuti a noi. Se vorrai, approfondirai per conto tuo, Anche perché riportare e tradurre parola per parola diviene un lavoro a mio avviso troppo dispersivo e per te pure noioso.
Sul "Secondo giorno" quindi i successivi versi 6, 7 ed 8; si scrive:
< (6) Iddio disse ancora: vi sia fra le acque un firmamento, il quale separi le acque dalle acque. (7) E Iddio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto al firmamento, da quelle che sono al di sopra. E così fu. (8) E Iddio chiamò il firmamento "Cielo". Di nuovo fu sera, poi fu mattina: secondo giorno. >
Dunque, l'iniziale sensazione che si ha leggendo queste righe è quella di non averci capito un granché. A cosa si riferiva il redattore dal testo quando scrisse che Elohìm fece il firmamento ed esso, chiamato "Cielo", separò le acque dalle acque? Cosa sono queste due acque?
Le risposte che posso dare sono due; una potrebbe essere valida, l'altra no. Come del resto entrambe possono essere giuste o sbagliate.
Per la prima, bisogna considerare "Dio" come Assoluto. In questo caso lo scritto non sarebbe altro che la rielaborazione del mito Sumero "Enuma Elish" (Quando là in alto). Il quale, narra come la Terra (Kì) sia nata dalla collisione tra il pianeta Nibìru, che era il pianeta delle divinità Sumere, e il pianeta Tiamàt, un antico corpo celeste del Sistema Solare che secondo alcuni studi sarebbe ciò che resta dell'attuale Grande fascia degli asteroidi compresa grossomodo fra Marte e Giove. Questa tremenda collisione portò dunque alla "formazione" della Terra e le "due acque" separate dal firmamento, quindi dalle stelle, sarebbero le acque una volta "unite" che ora sono presenti sui due corpi celesti: Nibìru e Kì (la Terra) che sarebbe, sempre secondo gli antichi racconti di questi popoli, un frammento staccatosi da Nibìru.
La seconda ipotesi è quella di considerare gli "Elohìm" esseri in carne e ossa, che separarono, millenni dopo il compimento del Pianeta, due masse d'acqua. Bisogna osservare che, come vedremo in seguito, il luogo descritto, se letto senza filtri, pare essere un ambiente artificiale creato da "Elohìm" per poi porre l'uomo in Eden e infine cacciarlo da esso facendolo vivere sulla Terra. Come scritto infatti nella "creazione del mondo", "lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque", ma precedentemente non vi è scritto che "Dio" "creò" o "diede forma alle acque". Dunque, le acque esistevano prima del "Bereshìt", del "Principio" e sono perciò gli Elohìm a dividerle in due differenti porzioni. La struttura artificiale che per prima viene in mente se si pensa alla divisione di masse d'acqua è quella di una diga. Allorché è plausibile, secondo un supporto di studi, che gli Elohìm crearono una grande diga che separò le acque: quelle della pianura sotto, e quelle del bacino artificiale sopra. Se visto dal basso, ergo dalla pianura, il firmamento sarebbe risultato più vicino all'acqua della diga in quanto essa non si sarebbe vista, e tale illusione di prospettiva avrebbe fatto credere che il cielo separasse le due acque. Questa ipotesi, per quanto di primo impatto possa sembrarti inventata e assurda, spiega alcuni avvenimenti scritti che seguono nella narrazione; fra tutti, il celeberrimo diluvio universale.
Per quest'oggi l'analisi termina qui, spero di essere stato esauriente. Nel prossimo episodio terminerò lo "studio" del primo capitolo analizzando il celebre verso della creazione dell'uomo (26). Quindi parlerò del giardino che fu posto in Eden, nel quale si ambienta l'altrettanto conosciuta storia del frutto dell'albero della Conoscenza del bene e del male e del serpente che tentò Ishah, "Eva".
mercoledì 11 febbraio 2015
Prologo sulla Biologia
La biologia è una branchia della scienza che studia tutti gli aspetti che comprendono la sfera della vita e degli organismi viventi. La parola è di origine greca, infatti, è composta della parole "Bìos"(βίος) che significa vita, e "Lògos" (λόγος) che in questo caso vuol dire studio. Quindi la biologia è lo "Studio della vita". Tale termine fu coniato all'inizio del XIX secolo da due studiosi naturalisti dell'epoca: il francese Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) e il tedesco Gotthfried Reinhold Treviranus (1776-1834).
La storia di tale scienza è assai antica; sappiamo infatti che veniva praticata dalle arcaiche popolazioni Indiane e della Mesopotamia. Ciononostante ufficialmente ai giorni nostri non vi sono fonti che riferiscano, forniscano o raccontino gli studi di particolari biologici. Cosicché per iniziare a fare qualche nome bisogna avanzare nei secoli, fino ad arrivare al cosiddetto primo pensiero Greco. E' difatti Talete ad essere considerato il primo "studioso" della vita. Quantomeno in Occidente. Egli visse fra il VII e il VI secolo a.C. ed il suo studio per la vita, come messo tra parentesi precedentemente, anche a causa dei mezzi limitati del contesto storico, più che scientifico era prettamente filosofico e di osservazione degli eventi. La figura di Talete sarà approfondita in quella che è la rubrica dedicata alla filosofia Occidentale, ma si può comunque anticipare, come già fatto scrivendolo, che egli fu il primo pensatore fra i cosiddetti "filosofi naturalisti" (fra i più celebri seguirono Anassimandro e Anassimene). I quali, sono considerati i "padri" della filosofia Greca.
Un paio di secoli dopo la morte di Talete, sempre in Grecia, troviamo la figura di Ippocrate. Egli è, sempre secondo le fonti ufficiali, il primo a cambiare l'approccio allo studio della vita, che, dapprima puramente filosofico diviene più tecnico e scientifico. Fra le sue opere di maggior rilievo si ricorda il "Corpus Hippocraticum", un pregiato trattato sullo studio della vita, e in particolare della medicina applicabile a essa.
Quindi seguiranno altri importanti studiosi, ognuno di essi aggiungerà un suo tassello. Fra molti, spiccano Aristotele e Teofrasto.
Nel corso dei secoli il miglioramento della tecnica permise studi sempre più approfonditi. Nel Medioevo vi furono molti biologi Arabi come il Persiano Rasìs (865-930), il quale, approfondì gli studi pratici della fisiologia e dell'anatomia del corpo umano.
Nell'epoca successiva, quindi nel Rinascimento, vi furono molte menti che studiarono la biologia. Anche a causa dell'ideologia di quel tempo, ovvero che vedeva la "glorificazione dell'uomo al centro di ogni cosa", si approfondì in modo massiccio lo studio dell'anatomia umana.
William Harvey (1578-1657), ad esempio, fu il primo a comprendere e a descrivere il sistema cardiocircolatorio. Prima di lui altri importanti analisti quali: Leonardo (1452-1519) e il medico-alchimista Philippus Paracelso (1493-1541). In contemporanea a Harvey, René Descartes "Cartesio" (1596-1650), e, successivamente Georg Ernst Stahl (1659-1734)
In quegli anni, venne inventato dall'ottico e studioso olandese Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723) il microscopio, il quale oggetto, permise un grande balzo verso il futuro studio della cellula. Attraverso il microscopio, il compaesano Jan Swammerdam (1637-1680) riuscì a osservare per la prima volta gli spermatozoi. Dimostrando così come sia lo sperma maschile a fecondare l'ovulo femminile.
Il secolo seguente, dunque il '700, fu un periodo nel quali si intensificò lo studio per la tassonomia, in particolare di quella umana. Da queste analisi, il nobile Georges Louis Leclerc "il Conte di Buffon" (1707-1788) fu il primo a "disegnare" una genealogia o comunque una parentela fra l'essere umano e la scimmia. Questi studi influenzarono quasi tutti i biologi e ricercatori che seguirono. In particolare lo stesso Lamarck (come scritto il coniatore del termine stesso di "biologia") e Charles Darwin (1809-1882), celeberrimo per la sua "teoria dell'evoluzione" attuale ai giorni nostri.
Questo è quanto si può dire fino a ora come prologo. La materia è davvero corposa, per cui una sintesi netta, per quanto limitativa, è inevitabile.
In questa speciale rubrica tratteremo la biologia sia come studio della vita; quindi analizzando nel dettaglio particolari o meno specie di animali e piante. Sia, da come avrai intuito, studiando le deduzioni e le scoperte dei vari biologi che nel corso della storia hanno contribuito a rivelare quanto di poco, ma comunque prezioso, ora sappiamo sulla vita e sull'esistenza.
La storia di tale scienza è assai antica; sappiamo infatti che veniva praticata dalle arcaiche popolazioni Indiane e della Mesopotamia. Ciononostante ufficialmente ai giorni nostri non vi sono fonti che riferiscano, forniscano o raccontino gli studi di particolari biologici. Cosicché per iniziare a fare qualche nome bisogna avanzare nei secoli, fino ad arrivare al cosiddetto primo pensiero Greco. E' difatti Talete ad essere considerato il primo "studioso" della vita. Quantomeno in Occidente. Egli visse fra il VII e il VI secolo a.C. ed il suo studio per la vita, come messo tra parentesi precedentemente, anche a causa dei mezzi limitati del contesto storico, più che scientifico era prettamente filosofico e di osservazione degli eventi. La figura di Talete sarà approfondita in quella che è la rubrica dedicata alla filosofia Occidentale, ma si può comunque anticipare, come già fatto scrivendolo, che egli fu il primo pensatore fra i cosiddetti "filosofi naturalisti" (fra i più celebri seguirono Anassimandro e Anassimene). I quali, sono considerati i "padri" della filosofia Greca.
Un paio di secoli dopo la morte di Talete, sempre in Grecia, troviamo la figura di Ippocrate. Egli è, sempre secondo le fonti ufficiali, il primo a cambiare l'approccio allo studio della vita, che, dapprima puramente filosofico diviene più tecnico e scientifico. Fra le sue opere di maggior rilievo si ricorda il "Corpus Hippocraticum", un pregiato trattato sullo studio della vita, e in particolare della medicina applicabile a essa.
Quindi seguiranno altri importanti studiosi, ognuno di essi aggiungerà un suo tassello. Fra molti, spiccano Aristotele e Teofrasto.
Nel corso dei secoli il miglioramento della tecnica permise studi sempre più approfonditi. Nel Medioevo vi furono molti biologi Arabi come il Persiano Rasìs (865-930), il quale, approfondì gli studi pratici della fisiologia e dell'anatomia del corpo umano.
Nell'epoca successiva, quindi nel Rinascimento, vi furono molte menti che studiarono la biologia. Anche a causa dell'ideologia di quel tempo, ovvero che vedeva la "glorificazione dell'uomo al centro di ogni cosa", si approfondì in modo massiccio lo studio dell'anatomia umana.
William Harvey (1578-1657), ad esempio, fu il primo a comprendere e a descrivere il sistema cardiocircolatorio. Prima di lui altri importanti analisti quali: Leonardo (1452-1519) e il medico-alchimista Philippus Paracelso (1493-1541). In contemporanea a Harvey, René Descartes "Cartesio" (1596-1650), e, successivamente Georg Ernst Stahl (1659-1734)
In quegli anni, venne inventato dall'ottico e studioso olandese Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723) il microscopio, il quale oggetto, permise un grande balzo verso il futuro studio della cellula. Attraverso il microscopio, il compaesano Jan Swammerdam (1637-1680) riuscì a osservare per la prima volta gli spermatozoi. Dimostrando così come sia lo sperma maschile a fecondare l'ovulo femminile.
Il secolo seguente, dunque il '700, fu un periodo nel quali si intensificò lo studio per la tassonomia, in particolare di quella umana. Da queste analisi, il nobile Georges Louis Leclerc "il Conte di Buffon" (1707-1788) fu il primo a "disegnare" una genealogia o comunque una parentela fra l'essere umano e la scimmia. Questi studi influenzarono quasi tutti i biologi e ricercatori che seguirono. In particolare lo stesso Lamarck (come scritto il coniatore del termine stesso di "biologia") e Charles Darwin (1809-1882), celeberrimo per la sua "teoria dell'evoluzione" attuale ai giorni nostri.
Questo è quanto si può dire fino a ora come prologo. La materia è davvero corposa, per cui una sintesi netta, per quanto limitativa, è inevitabile.
In questa speciale rubrica tratteremo la biologia sia come studio della vita; quindi analizzando nel dettaglio particolari o meno specie di animali e piante. Sia, da come avrai intuito, studiando le deduzioni e le scoperte dei vari biologi che nel corso della storia hanno contribuito a rivelare quanto di poco, ma comunque prezioso, ora sappiamo sulla vita e sull'esistenza.
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