venerdì 20 marzo 2015

Storia della Filosofia occidentale, Ep.6 - Parmenide, Zenone e la scuola di Elea


Nella prima metà del V secolo a.C, dunque a cavallo fra la fine della cosiddetta età arcaica e l'inizio dell'età classica, sorge ad Elea, antica polis della Lucania, la scuola di Elea, appunto. Anche chiamata Scuola eleatica. Nei pressi dove ora sorge la cittadina salernitana di Ascéa.

Questa corrente di pensiero ricalca e allo stesso modo in buona parte si allontana dalle precedenti idee sulla natura e l'ápeiron, rivoluzionando e affinando nuovi concetti, ponendo al centro degli studi la figura dell'uomo.
Si può dunque affermare che con il tramonto dell'età arcaica, tramonta anche la filosofia dell'archè, dunque della natura e della cosmologia, e con l'alba dell'età classica sorge in occidente una nuova concezione filosofica: la filosofia antropologica.


Il concetto cardine è quello dell'unicità e dell'Uno, concreto, immobile ed eterno; non più visto nella natura o nell'indefinito ma in un'essenza di verità che si raggiunge volontariamente per mezzo del pensiero, dunque della coscienza e della conoscenza, al fine di fare svanire ciò che è illusorio, denominato "Dòxa". Il tutto, è sperimentato secondo una pragmatica e attenta analisi "razionale".

Il fondatori di questa scuola/corrente furono Parménide e il suo discepolo Zenòne. Il primo nasce nel VI secolo ad Elea; discepolo di Senofane; l'unico suo elaborato che disponiamo è il "Perì Physeos"
(Περί Φύσεως), tradotto come "Sulla natura".
In tale trattato Parmenide porta alla luce due realtà che egli chiama vie. La prima è la via della Verità, l'altra la via delle opinioni. La prima verte all'Uno, e non si fa influenzare da quello che è l'effimero. Di essa scrisse:

<< Per il vero essere, la Verità, saranno nomi tutte quelle cose che hanno stabilito i mortali, convinti che fossero vere: nascere e perire, essere e non-essere, cambiare luogo e mutare luminoso colore.>>

Da qui nasce dunque ufficialmente l'ontologia, ovvero uno studio, un riflessione, incentrata sull'essere. Un essere che non è meramente l'essere che si osserva nella quotidianità, ma l'essere antonomastico che si raggiunge attraverso il pensiero che il filosofo Greco rappresenta con la figura geometrica della sfera. Un solido levigato, senza angoli o imperfezioni, uguale in ogni suo punto. Non è ossia influenzato dal punto di vista.


L'altra via, è quella delle opinioni; del bello e del brutto, del buono e del cattivo, della destra e della sinistra ecc. ecc. Tutto ciò che in sostanza è duale è illusorio in quanto è frutto dell'opinione incosciente dell'osservatore, il quale, senza pensiero e conoscenza, non è in grado di comprendere l'Essere: l'Uno. Tutto il resto, quindi anche il divenire è illusorio in quanto tutto è eterno, e dunque accade in un unico lasso ((vedremo molto meglio quando parleremo più avanti della fisica di Bohm)).



Zenone, essendo a sua volta discepolo di Parmenide vive logicamente un po' più tardi, all'inizio del V secolo a.C. Egli amplia lo studio del maestro, e se lo si vuole dire lo rende anche più accessibile e comprensibile attraverso la dialettica, quindi il dialogo, ed efficaci paradossi logici e matematici.
A proposito sull'illusorietà del dinamismo, dunque del movimento e del divenire, egli elaborò tre celebri paradossi ; quello "dello stadio", "della freccia" e di "Achille e la tartaruga". Vediamoli:

-  per lo Stadio; prendiamo ad esempio uno stadio di calcio, di rugby o quello che volete: per arrivare da una curva all'altra, senza uscirvi, bisogna necessariamente entrare nel terreno superando la metà campo. Per superare la metà campo però, bisogna superare la metà della metà campo, ovvero quella che negli stadi di calcio è il limite dell'area di rigore. Per superare l'area di rigore bisogna altresì superare la sua metà: ovvero il dischetto dove si tira il rigore. Per arrivare al dischetto si deve superare l'area piccola, e così via fintantoché le distanze sono innumerabili all'occhio umano...

E' quindi spiegato come l'infinito si trovi sia nell' estremamente piccolo che nell' estremamente grande. Da una parte, si trova sempre una metà di una metà; dall'altra, per raggiungere un totale bisogna passare da una metà in un eterno e unico divenire. Questo essere permanente statico è spiegato nel paradosso

- della Freccia: nel quale spiega che anche se una freccia è ipoteticamente in movimento, in realtà è immobile in quanto il suo movimento altro non è che la copertura della sua stessa lunghezza nello spazio. Come adesso vediamo, ciò, risulta in contrasto e in antitesi con quello che è il prossimo, ovvero:

- Achille e la Tartaruga: qui sono contrapposti la figura della velocità, quindi Achille, e della lentezza, la tartaruga. Sono comunque entrambi animali mobili. Siccome Achille è più rapido, egli concede un margine alla tartaruga, ma nonostante l'uomo possa successivamente superare la testuggine, essa, avrà sempre quel primordiale vantaggio. In quanto Achille per superarla deve come prima cosa raggiungere il punto nel quale la tartaruga si trovava nel momento che egli è partito dopo il vantaggio concesso. Solamente che quando egli giunge lì, la tartaruga non si trova più in un quel punto ma in un altro più avanti. Cosicché quando l'uomo giungerà là, la tartaruga si troverà ancora una volta un altro posto. Anche più indietro, non ha importanza. Ciò che importa è che nonostante questa gara possa durare per sempre e lo sportivo Achille triplicare, quadruplicare, centuplicare milioni di volte la tranquilla e pacata tartaruga, ma in realtà quel margine iniziale non può essere assolutamente colmabile in quanto potrà essere dimezzato all'infinito.



- Schema del paradosso di Achille e la tartaruga: la distanza A-B, B-C, C-D, D-E, E-F....per quanto sempre più sottile è insanabile.






- busto di Pamènide.






- busto di Zenone.



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